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Editoriali

att civico citta 2015 02 13

Negli scorsi giorni abbiamo saputo, con soddisfazione, che i due emendamenti principali che Cittadinanzattiva ha presentato in Commissione Affari Sociali della Camera sulla riforma del terzo settore sono stati depositati e fatti propri da molti deputati.

Ne siamo felici in particolare perché entrambi gli emendamenti miravano a richiamare e a valorizzare il significato “costituzionale” della sussidiarietà, quello, a nostro parere, autenticamente sotteso all’articolo 118, ultimo comma, della Costituzione, quando recita che le istituzioni devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Il primo degli emendamenti depositati in XII Commissione riguarda il Servizio civile e la possibilità che esso dà ai nostri giovani, pochi a dire il vero a fronte di quanti lo vorrebbero, di sperimentarsi in un progetto di attivismo civico: la proposta di Cittadinanzattiva è stata che le norme sul Servizio civile siano definite non più in riferimento all’articolo 52 della Costituzione, quello sulla difesa della patria, con un richiamo alla storia pregressa dell’obiezione di coscienza, ma proprio in riferimento all’articolo 118, u.c. L’auspicio risulta rafforzato dal fatto che, per rilanciare il tema, si sia scelta come piattaforma di dibattito proprio la riforma del terzo settore, che dichiara di ispirarsi al 118 fin dalle sue linee-guida, e tiene in conto quello che il Servizio civile è stato fin da subito: da parte dello Stato, una delle forme migliori, più aderenti allo spirito della sussidiarietà costituzionale, con cui si è realizzato l’obbligo di sostenere l’iniziativa civica e da parte dei giovani una modalità concreta per sperimentare obiettivi di sviluppo civile. Seguendo questo ragionamento Cittadinanzattiva non ha mancato di sottolineare come sia indispensabile che, per il loro Servizio civile, i giovani debbano poter selezionare i progetti presentati in autonomia dalle organizzazioni, non necessariamente quelle più grandi, ma quelle capaci di attività più rilevanti e attrattive, in una dinamica virtuosa di domanda e offerta.
Con il secondo emendamento proposto, Cittadinanzattiva ha inteso ribadire che, proprio nello spirito dell’articolo 118, quando si parla di cittadinanza attiva ci si riferisce non a soggetti giuridici, da considerarsi di cittadinanza attiva per definizione, né a formule scritte negli statuti, ma, unicamente, ad attività concrete e promosse autonomamente da attori sociali. La cittadinanza attiva è in campo solo se e quando un’organizzazione civica svolge attività per l’interesse generale, vale a dire per la promozione e la tutela dei diritti, per dare sostegno e supporto a soggetti deboli e/o in difficoltà, per prendersi cura di beni collettivi (es. acqua, parchi, edifici e monumenti pubblici: cioè quelli che gli studiosi da tempo intendono per beni comuni).
Se si pone l’accento sulle attività concrete che le organizzazioni realizzano, viene automatica la distinzione fra quelle effettivamente promosse per l’interesse generale, e in quanto tali meritevoli del favore e del sostegno delle istituzioni, e quelle che, pur ugualmente legittime, nulla hanno a che fare con l’interesse generale. Per non parlare dei casi in cui, dichiarando finalità di interesse generale, si realizzano invece attività, come anche la cronaca dei tempi recenti insegna, che non solo non riguardano la sfera pubblica, ma che nascondono interessi economici delittuosi e speculatori.
Per questo Cittadinanzattiva, nel suo emendamento, ha chiesto che si individuino specifiche modalità atte a verificare che le attività messe in campo da un’organizzazione di cosiddetto terzo settore siano davvero di interesse generale, sulla base di criteri oggettivi e predefiniti, piuttosto che, come avviene spesso, a posteriori e in maniera autoreferenziale. E inoltre che sia necessario, per qualificare un’attività come di interesse generale, che la valutazione si realizzi in relazione ai beneficiari dell’attività stessa, e non soltanto ai donatori, pubblici o privati, spesso considerati gli unici rispetto ai quali corra l’obbligo di “render conto”. O che, come avviene nel caso dei contributi pubblici, si realizzi solo sulla base della regolarità formale degli impegni assunti e non della valutazione sostanziale dei risultati ottenuti nei confronti dei beneficiari di un progetto o di una iniziativa.

 

Insieme con la trasparenza totale sulle proprie iniziative, questa della valutazione è sicuramente la prospettiva più ambiziosa sulla quale le organizzazioni di cittadinanza attiva dovranno sfidarsi e mettersi alla prova, ma è anche l’unica che le rende coerenti nel chiedere agli altri quello che sono innanzitutto disposte, senza remora alcuna, a dare.

Anna Lisa Mandorino, Vicesegretario generale Cittadinanzattiva

Annalisa Mandorino

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