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Editoriali

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È di pochi giorni fa lo schema dell’atto di regolazione sul contenuto minimo degli specifici diritti che i passeggeri “abbonati” possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi ferroviari ad Alta Velocità.

L’emanazione di questo provvedimento (in consultazione fino al 29 aprile) potrebbe rappresentare il triste epilogo di una situazione esplosa a partire da giugno 2015: è da allora infatti che per l’unico segmento a libero mercato, quello dell’alta velocità, si è acceso un faro sulla necessità di una riflessione circa i confini del diritto al profitto, da parte di un’azienda che opera seguendo logiche di libero mercato, e il diritto alla mobilità di cittadini che, grazie al progresso della tecnica, reso possibile anche dal contributo pubblico (si pensi alla dotazione infrastrutturale), ha aperto nuove prospettive di vita e lavoro.

Dopo un richiamo da parte dell’Agenzia per la sicurezza, seguito a diverse denunce da parte di pendolari e associazioni, è stata proibita la possibilità di viaggiare in piedi sui treni Alta velocità, per evitare che situazioni di sovraffollamento cronico potessero mettere a rischio la sicurezza dei passeggeri. Da qui, la decisione di introdurre la prenotazione obbligatoria del posto con la conseguente riduzione della capienza di ciascun vagone. Il risultato è stata l’impossibilità a utilizzare il servizio di trasporto da parte di migliaia di pendolari (le tratte più a rischio sono quelle che collegano Torino e Milano, Bologna e Milano, Firenze e Bologna e anche Napoli e Roma) e l’innesco di dinamiche di mercato per disincentivare la domanda del servizio di trasporto lì dove eccede rispetto all’offerta (dall’aumento dei prezzi da parte di entrambi gli operatori presenti sulle tratte più frequentate, fino alla decisione di non vendere più abbonamenti per alcune tratte da parte di uno di essi).

A fare le spese di questa “riorganizzazione” del servizio offerto sono i pendolari che vedono in serio pericolo la possibilità di poter conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative, con dei veri stravolgimenti della quotidianità.

In questo contesto si colloca il provvedimento dell’Authority che, purtroppo, contiene ben poco della sua versione originale dello scorso novembre: è sparito l’upgrading (la policy last minute che avrebbe dovuto mettere a disposizione dei pendolari tutti i posti liberi sul treno, anche in classi superiori a partire da mezz’ora della partenza), possibile e praticabile soluzione alle esigenze di viaggio di un abbonato; la flessibilità dell’effettuazione della prenotazione svincolata dal momento dell’acquisto dell’abbonamento è sparita, rimessa alla discrezionalità del gestore; la possibilità di essere collocato, senza oneri aggiuntivi, sul treno successivo qualora la richiesta di cambio di prenotazione non potesse essere soddisfatta; l’introduzione di un diritto di natura risarcitoria in caso di impossibilità ad effettuare il viaggio per indisponibilità di posti. Questi sono solo alcuni dei punti salienti trattati nel primo schema di regolazione poi notevolmente ridimensionato.

Il quadro generale che emerge da questa storia vede, in conclusione, la contrapposizione tra operatori e pendolari: da un lato i primi, che sulla base di valutazioni solo economiche, reputano scarsa la convenienza nell’incremento del servizio, servizio confuso dai passeggeri con il trasporto regionale (sottoposto sì a obbligo di servizio pubblico ma che da anni è vittima di tagli e soppressioni di treni); dall’altro i cittadini/pendolari ai quali per anni è stato consentito di usufruire di questo servizio, anche se in condizioni di preoccupante sovraffollamento, e che adesso rischiano di veder sacrificato il loro diritto alla mobilità sull’altare del libero mercato.

Perché di libero mercato si tratta, come ha evidenziato l’AGCM nel parere sullo schema originale proposto dall’ART <<[…] attività svolta in regime di libero mercato […]>> per la quale fare riferimento agli articoli 101 e 102 del TFUE <<piuttosto che l’introduzione di norme di regolazione che richiederebbero di irrigidire su schemi prefissati la vivace concorrenza [grassetto nda] attualmente presente tra Trenitalia e NTV>>.
Sicuramente la natura di mercato di questi servizi implica che ciascuna azienda effettui le proprie scelte commerciali in maniera autonoma. Ciò non toglie che ciascuna azienda, in un’ottica di vera responsabilità sociale, possa strutturare la propria offerta in un modo da andare incontro alle esigenze anche dei pendolari, implementando volontariamente alcune delle proposte del provvedimento originale dell’Authority.

In un regime di vera e vivace concorrenza, nel quale sarebbe auspicabile avere anche più di 2 operatori, la qualità del servizio offerto a tutti i clienti, anche ai bistrattati abbonati, potrebbe fare la reale differenza per un’azienda che potrebbe definirsi realmente di successo.

Cinzia Pollio

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