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Siamo tra i partner del programma promosso dal Tribunale per i diritti del Malato per informare e assistere le persone con Epatite C. 
Tra le prime iniziative, un dossier che evidenzia l'esigenza di affrontare il tema della co-infezione e proposte di emendamenti al piano nazionale per le epatiti che ad oggi non si occupa di persone con Hiv.
"Devo aspettare di aggravarmi per essere curato?": la domanda, provocata dalla decisione di Aifa di garantire solo ai malati con alto grado di fibrosi i nuovi farmaci in grado di far guarire dall'Epatite C, è quella che è stata rivolta più spesso al servizio di ascolto e consulenza gratuita del programma nazionale “Epatite, C siamo!" avviato a luglio da Cittadinanzattiva, di cui come LILA siamo partner.

L'iniziativa che offre informazioni attraverso il sito web dedicato www.csiamo.cittadinanzattiva.it ed un centralino (06.36718216, attivo il martedì e giovedì ore 9.30-13.30 e 14.30-17.30) - è realizzata attraverso le 300 sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato e con il sostegno non condizionato di Abbvie. L'obiettivo è informare i pazienti affetti da Epatite C sui criteri di accesso nazionali e regionali alle nuove terapie farmacologiche per l’eradicamento della patologia. "I cittadini che ci hanno chiamato, ci hanno sottoposto principalmente il problema dell'esclusione di molte persone con Epatite C dalla determina Aifa che indica i criteri per accedere al trattamento": Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato, sottolinea che l'impossibilità di essere curati "non provoca solo problemi di salute ma anche di vita di relazione". "C'è anche un problema di scarsa informazione - sottolinea Aceti - il grande pubblico non sa dei nuovi farmaci, o ha sentito solo per caso di una nuova terapia". Per noi come LILA è fondamentale l’attività svolta dal programma, per la promozione dell’accesso prioritario ai nuovi farmaci da parte delle persone con Hiv, come raccomandato dalle Linee guida dell’Easl(Associazione europea per lo studio del fegato) ma anche dall’Aasld (Associazione americana per lo studio delle malattie del fegato).“Nelle persone con Hiv, l’epatite C determina un più rapido aggravamento verso la cirrosi e una risposta minore alle cure – sottolinea il presidente Massimo Oldrini – tuttavia l’Aifa ad oggi non considera questa condizione tra i criteri per l’accesso preferenziale ai nuovi trattamenti”.Tra le prime iniziative del programma c'è stata la richiesta al Comitato nazionale di Bioetica e al Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri, di esprimersi sulla congruità dell’algoritmo Aifa che esclude le persone con coinfezione da Hiv e Hcv dall'accesso prioritario ai trattamenti antivirali diretti contro l’epatite C. Sul sito di “Epatite, C siamo!” è stato contestualmente pubblicato il “Dossier sull’equità" nel rispetto dei diritti della Carta Europea dei diritti del malato”, che evidenzia l'esigenza di affrontare il tema della confezione Hiv/Hcv nel dibattito sull’accesso alle nuove terapie.Il Tribunale per i diritti del malato ha inoltre inviato una nota alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome in merito alla bozza di “Piano Nazionale" per la prevenzione delle epatiti virali da virus B e C”, in cui l’associazione ha sottolineato, tra l’altro, l’assenza di stanziamento di risorse economiche, la necessità di affrontare il tema della co-infezione Hiv-Hcv che in Italia interessa circa 33.000 persone, e la necessità di coinvolgere oltre alle associazioni di pazienti anche quelle di cittadini, come quelle delle persone con Hiv. Come conseguenza di queste iniziative sono state presentate due interrogazioni parlamentari per garantire l’accesso ai nuovi farmaci anti epatite C a chi ne abbia bisogno: l’interrogazione del deputato Pierpaolo Vargiu e quella del senatore Andrea Mandelli.


Il programma ha anche denunciato il fenomeno del turismo sanitario in Oriente per accedere alle nuove terapie. Molti di coloro che desiderano curare l'Epatite C prima che la malattia peggiori e raggiunga livelli gravissimi, oggi sono organizzati: prenotano un viaggio e vanno in India per comprare il farmaco con una spesa intorno ai 2 mila euro. Questo fai-da-te può comportare rischi di truffe da parte di soggetti intermediari che lucrano sulla salute e per rispondere ad una domanda di cure ad oggi insoddisfatta. Tuttavia, voler guarire prima che il proprio stato di salute peggiori, è una questione che non può essere liquidata dalle istituzioni come un semplice capriccio dei cittadini. 

 

Ufficio Stampa

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