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Editoriali

Taranto è la città dove sono nata.

Taranto è una meravigliosa città nella quale nascere.

Taranto, se fosse soltanto Taranto, avrebbe lo stesso fascino delle città che appartengono al mare, ma raddoppiato perché a Taranto i mari sono due, il Mar Piccolo e il Mar Grande, vanto della gente tarantina.

 

Taranto, se fosse soltanto Taranto, avrebbe lo stesso fascino delle città eterne, ma raddoppiato perché Taranto è stata riferimento prima della Grecia e poi di Roma antiche, e ha un bellissimo Museo, Taranto, ma troppo poco visitato per essere così bello.

La gente di Taranto, se Taranto fosse soltanto Taranto, avrebbe quello stesso spirito, pieno di fermento e di viva malinconia, delle città che sono fatte per restarci ma anche per passare, transitare e andare altrove.

Ma Taranto è anche l’Ilva, il più grande stabilimento siderurgico di tutta Europa, che sorge proprio dentro la città di Taranto, dentro i suoi quartieri più vitali e più bisognosi. E che un impianto siderurgico possa sorgere a un passo dalle case e dalla vita della gente non dovrebbe essere possibile se è vero, come è vero, che gli impianti siderurgici sono tra i siti produttivi che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, già nel 1987, ha classificato nel gruppo 1, quelli con evidenza sufficiente di cancerogenicità per l’uomo.

A Taranto l’Ilva, per decenni Italsider di Stato, dal 1995 di proprietà privata della famiglia Riva, c’è da 50 anni. Sarà per questo che Taranto, la città e la provincia, ha un tasso di incidenza di linfoma non Hodgkin e cancro dei polmoni del tutto anomalo rispetto al resto della Puglia. E forse, visto che l’area agglomerato dell’Ilva produce diossina, e non un po’ di diossina ma il 90% della diossina di tutta Italia, sarà per questo che Taranto è la città dove tra i bambini, già sotto il primo anno di età, si registra un “eccesso”, così lo definiscono gli esperti, di malattie respiratorie e tumori del sangue. D’altra parte, la diossina a Taranto e nella sua provincia sta negli animali, che gli allevatori sono stati costretti a sterminare, nelle piante, ma anche nel latte delle mamme.

E, nonostante questo, a Taranto l’oncologia pediatrica non c’è, e i bambini, all’Ospedale Moscati di Taranto, hanno una stanzetta con tre letti e qualche poster carino, arredata dai volontari dell’Ail. Sono volontarie a Taranto, individuate da un cartello di associazioni, anche quelle tre “cittadine attive” che redigono il Registro dei tumori: e infatti il registro è aggiornato al 2007, perché loro, senza nessun sostegno all’immenso lavoro da fare, non ce la fanno ad andare più veloci. Figuriamoci se a Taranto c’è un osservatorio delle malattie legate all’inquinamento ambientale, tante, gravi e spesso senza terapia. E manca anche solo una pet tac in più: in modo che, se se ne rompesse una ce ne sarebbe subito disponibile un’altra e la gente non arriverebbe in lacrime al Tribunale per i diritti del malato a denunciare attese che possono uccidere. O, semmai, visto che spending review significa allocare la spesa di uno Stato laddove serve e tagliarla laddove non serve, di un piano speciale, pensato proprio per Taranto, per la sua emergenza sanitaria, di presenza di personale sanitario e risorse organizzative in aggiunta, visto che la vera processione della Settimana Santa, rito per cui Taranto è famosa in tutta Italia, la puoi vedere ogni giorno al day hospital oncologico di Taranto.

L’attenzione verso Taranto, e l’Ilva, è aumentata da quando una donna, Patrizia Todisco, nata a Taranto e in quel Tribunale giudice per le indagini preliminari, ha chiesto la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento, oltre che l’arresto dei suoi proprietari. Quelli che hanno comprato l’Ilva dallo Stato per quattro soldi, anche per la promessa di restituire ai lavoratori e ai cittadini di Taranto condizioni di sicurezza, salute e vivibilità accettabili; quelli che questa promessa, secondo l’accusa, hanno colpevolmente eluso ormai dal 1995, decidendo di continuare a bruciare di polvere di ferro e fumi velenosi la città. E tutto per scelta, neppure per ignoranza.
Ma altre donne, le vedove e le mamme di Taranto, da anni oramai denunciavano la strage che il degrado dell’ambiente, il degrado procurato dall’Ilva, ma anche da Eni, Cementir e Arsenale militare, stavano perpetrando a Taranto. E il grido l’hanno levato alto anche le associazioni ambientaliste e quelle pacifiste attive nella città, le prime a eseguire le analisi sulla diossina presente nel formaggio e nelle carni, e gli abitanti dei quartieri vicini all’Ilva, che intanto morivano e attaccavano targhe a memoria dei morti sotto le finestre delle loro case.

E da qualche anno hanno cominciato a gridare molti lavoratori dell’Ilva, a reclamare diritto al lavoro ma anche sicurezza e salute, visto che i lavoratori dell’Ilva non vanno a lavorare all’Ilva perché il diritto al lavoro è più importante del diritto alla salute, sofisma sul quale hanno argomentato, pro o contro, gli esponenti dei partiti politici. Non ci vanno neanche perché la chiusura dello stabilimento siderurgico di Taranto segnerebbe il tracollo dell’industria siderurgica in Italia, principale preoccupazione espressa da un governo interessato al caso di Taranto prevalentemente come problema di politica industriale, tanto da non ritenere indispensabile negli incontri che si sono svolti in città la presenza del ministro della salute. I lavoratori non vanno all’Ilva neppure perché pensano, incoscientemente, che sopravvivere ora sia sempre meglio che morire domani, ma, semplicemente, perché non c’è scelta nella città di Taranto, in cui il tasso di disoccupazione è del 30% in generale, e figuriamoci se lavorano i giovani.

Eppure tutti costoro, associazioni, singoli, lavoratori, cittadini insomma, che un ruolo tanto decisivo hanno avuto nel denunciare, monitorare, circostanziare, comunicare la condizione di Taranto, sono costretti tuttora a reclamare un ruolo attivo nelle vicende della loro città, e a puntare i piedi per ottenerlo. E lo ottengono a fatica, sotto forma di oramai poco rassicuranti promesse, o non lo ottengono affatto. È  avvenuto, per esempio, quando a Taranto si sono riuniti proprietà aziendale, governo, istituzioni locali, mentre cittadini e associazioni civiche sono stati relegati a manifestare la loro volontà di partecipazione all’interno di un’area protetta, con il pretesto del timore di scontri che non ci sono mai stati perché la gente a Taranto è disperata più che arrabbiata.  Un affronto questo, oltre che al basilare diritto di manifestare, anche alla consapevolezza, alla competenza, ai saperi che i cittadini attivi di Taranto hanno imparato ad avere, nell’ignoranza e nell’indifferenza generale, sulle questioni della loro città. Consapevolezza, competenza, saperi che sarebbero dovuti essere e andrebbero valorizzati per iniziative di interesse generale, così come previsto dall’articolo 118, ultimo comma, della nostra Costituzione. Consapevolezza, competenza, saperi che sarebbero tornati utili, per esempio, se li si fosse usati per definire, nel 2011, un’Aia (Autorizzazione di impatto ambientale) che fosse un passo avanti effettivo nella tutela dell’ambiente e della salute dei tarantini, come da loro argomentato e richiesto. E, invece, quell’Aia è stata, anche in seguito a episodi di corruzione rispetto ai quali le intercettazioni effettuate lasciano poco spazio al dubbio, ancora una volta, un accordo al minimo.

Ma i cittadini attivi di Taranto, e anche Cittadinanzattiva a Taranto, non consentiranno che sia più così per la nuova Aia, che dovrebbe essere pronta per il 30 settembre, né per tutte le decisioni che, d’ora in poi, riguarderanno l’Ilva di Taranto, sulle quali vigileremo come mai prima.

Vigileremo per ora affinché accada, in tempi brevissimi, almeno ciò che il Tribunale del Riesame ha deciso qualche giorno fa: che i custodi giudiziali dello stabilimento verifichino e dimostrino fuor di dubbio le condizioni di ecocompatibilità dell’Ilva qualora si cominciassero a utilizzare le migliori tecniche esistenti. E intendiamo le migliori in assoluto, non certo le migliori tecniche disponibili per l’Ilva, equivoco sul quale l’azienda ha a lungo giocato anche nella sua comunicazione (Ilva, Rapporto MTD 2010): perché questo potrebbe voler dire essere disposti a spendere circa 4 miliardi di euro, anziché i 146 milioni finora messi sul tavolo dalla proprietà.

E, qualora, come il passato ci induce a credere, questa disponibilità non vi fosse, si proceda alla chiusura delle aree a caldo pensando, contestualmente, alla tutela e alla ricollocazione dei lavoratori che perdono il posto e a un progetto sul futuro economico della città, di bonifica dell’ambiente, di riconversione dell’industria cittadina, di investimento sulla sua vocazione di città marinara e portuale, di valorizzazione dei suoi beni più tipici, dalle sue bellezze archeologiche e artistiche alla tipica molluschicoltura che l’emergenza sanitaria e ambientale hanno devastato.

Su questo Cittadinanzattiva tutta, a tutti i livelli territoriali in cui si articola, poiché Taranto è patrimonio di tutta Italia, lavorerà al fianco di tutte le persone e le organizzazioni civiche attive e in tutti i modi possibili, non ultimo continuando a usare o a sostenere lo strumento della tutela giuridica e dell’iniziativa legislativa, poiché, mai come in questo caso, la giustizia sia “giustizia per i diritti”, per il diritto alla salute e per il diritto al lavoro, di tutti i cittadini.


Anna Lisa Mandorino, Vicesegretario generale Cittadinanzattiva

Annalisa Mandorino

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