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Editoriali

inquinamento taranto 2015 02 18

Una storia di ricatti, anni di mancati controlli e connivenze, soldi spariti e manager arrestati, inquinamento e morti sospette. Potrebbe sembrare la trama di un film giallo, anche non molto innovativo, e invece è la triste realtà di Taranto e del più grande impianto siderurgico d’europa che ha sede in questa città. Il 23 gennaio l’ennesimo episodio: l’arresto del vicepresidente Ilva Fabio Riva a Londra, e il rilascio su cauzione con ritiro del passaporto
Lo stesso giorno, Taranto viveva l’ennesimo “assedio”, di cui non sentiva davvero la necessità.  

Mentre gli elicotteri sorvolavano la città e un cordone di pubblica sicurezza (500 gli uomini schierati) avrebbe dovuto tenere a debita distanza una  folla di pericolosi manifestanti dall’incontro organizzato in azienda a cui hanno partecipato, tra gli altri, il Ministro Clini e la stampa, i cittadini tarantini hanno deciso di rimanere a casa per evitare strumentalizzazioni, rendendo ancora più visibile, se fosse necessario, la distanza tra i decisori pubblici e i lavoratori e i tarantini.

 

 

 

Vale la pena di sottolineare che anche nelle giornate più “calde”, come lo scorso 15 dicembre, con 15 mila persone in piazza, a Taranto non si è mai registrato uno scontro. 

La conclusione della riunione è suonata poi come una ulteriore beffa, che si è materializzata nelle dichiarazioni del Ministro Clini che ha affermato “sono a Taranto per confermare che la difesa del diritto alla salute e al lavoro e' la priorità costituzionale che ha sempre orientato il governo".  Diciamo che i lavoratori dell’Ilva, su cui subito dopo ha iniziato a pendere la spada del “due giorni di tempo per chiedere la cassa integrazione per 8 mila operai o trovare una soluzione per il dissequestro dei beni finiti” non sono sembrati esattamente d’accordo. E infatti, caso ha voluto che sia stata annullata la prevista riunione con i sindacati prevista per il pomeriggio. Al centro della nuova querelle, che sa di ulteriore ricatto, la richiesta da parte dell’azienda alla Magistratura dii “sbloccare” il sequestro dei prodotti finiti per riprendere la produzione. La richiesta era stata avanzata (secondo l’Ilva) con l’ipotesi di “dissequestro vincolato”, cioè  la possibilità di utilizzare il milione e 700mila tonnellate di merci ferme a Taranto da fine novembre (un miliardo di euro di valore) per la produzione e la vendita a favore del risanamento del siderurgico e del pagamento degli stipendi di febbraio. In una nota diffusa dopo l'incontro del 21 gennaio a Roma con i sindacati metalmeccanici, l'azienda ha dichiarato “che nell'auspicata ipotesi di un dissequestro dei prodotti lavorati e semilavorati, i proventi della commercializzazione verranno destinati, come è ovvio che sia, agli adempimenti previsti dall'Aia, al pagamento delle retribuzioni dei lavoratori e a quant'altro necessario per la sopravvivenza dell'azienda”.
La domanda che a noi resta ancora senza risposta è che fine abbiamo fatto tutti gli utili prodotti nel corso di questi anni, e di cui una sostanziosa parte sarebbe dovuta andare ad investimenti atti a diminuire il rischio (certezza come abbiamo visto) di inquinamento e a mettere in sicurezza l’impianto. E cosa abbia fatto realmente l’azienda dal 26 luglio sino ad oggi per garantire non solo il rispetto dell’Aia, ma anche gli investimenti necessari per ottenere il dissequestro e un futuro per gli operai dell’Ilva. Abbiamo sin da subito sottolineato che la nuova AIA fosse molto “spostata” sul versante azienda, insieme alle associazioni del Comitato Altamarea (per approfondimenti, visita la sezione Emergenza Taranto di questo sito) di taranto a cui aderiamo. Dopo dinieghi di rsichio per la salute smentiti da ricerche scientifiche incontestabili, minacce di chiusure e fughe all’estero, è davvero insopportabile che la questione venga posta come frutto di una magistratura che quasi quasi trama contro la popolazione e i lavoratori. E’ evidente che questo gioco non regga più, e che a Taranto, più delle numerose dichiarazioni allarmistiche di Ministro e Azienda (troppo spesso sulle stesse posizioni), contino le cose messe in campo, le azioni che dimostrino una chiara volontà da parte dell’azienda di mettersi alle spalle le ombre di un passato di interessi poco chiari e intrecciati e lavorare affinché lo stabilimento di Taranto possa avere un futuro. Senza che a pagarne lo scotto sia l’ambiente o la salute dei cittadini. La strada è molto lunga. Ed è ora di passare dalle dichiarazioni ai fatti. Nella Ruhr ci si è riusciti. E da noi?

Alessandro Cossu, Responsabile ufficio stampa e comunicazione di Cittadinanzattiva

 

Alessandro Cossu

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