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Editoriali

Il 19 il principale sindacato dei giornalisti, la FNSI, doveva scendere in Piazza a Roma con lo slogan  "dovere di informare, diritto di sapere". La manifestazione, alla quale ha deciso di aderire anche Cittadinanzattiva, è stata rinviata in queste ore a seguito degl grave lutto per gli attentati di Kabul. Vi proponiamo comunque l'intervista Presidente della Federazione, Roberto Natale, realizzata da Alessandro Cossu.

 

Natale, perché questa manifestazione?

La misura è colma. Dal punto di vista di noi giornalisti, mettendo insieme gli episodi delle ultime settimane si ottiene un elenco impressionante. A ritroso, Matrix ieri, Ballarò l'altroieri, Feltri che manda avvertimenti al Presidente della Camera Fini. Prima ancora Repubblica e Unità portati avanti ai Magistrati. Repubblica perché fa domande, l'Unità querelata per due numeri interi. I trailers di "Videocracy" che non possono andare in onda sulle reti Rai e Mediaset. La cacciata con una azione di bastonatura mediatica del Direttore di Avvenire Dino Boffo, i dubbi pesantissimi sulla azione che ha portato la Rai fuori dalla piattaforma Sky. E ancora, nei mesi scorsi, vicende che non dobbiamo rimuovere, perché già lì c'era l'annuncio della nuova fase che sta vivendo l'informazione italiana: l'espulsione di Mentana da Matrix. E, ancora, gli appelli di Berlusconi agli imprenditori perché ritirino la pubblicità dai giornali che lui giudica disfattisti o catastrofisti. Il disegno di legge sulle intercettazioni che, se passera' al Senato con lo stesso testo della Camera, ridurrà pesantissimamente il nostro diritto dovere di informare. Tutte motivazioni che riguardano noi giornalisti. Nei nostri confronti il Presidente del Consiglio fa pesare sempre di più la sua concezione di un giornalismo senza domande. Ma riteniamo che il problema che sembra interessare solo noi giornalisti invece riguardi tutti.  Riteniamo  che debba avvertire un rischio analogo anche chi, dall'esterno della professione, vede ridotta o omologata  l'informazione.

 

La libertà di informazione. Un tema di cui abbiamo discusso molto in questi anni, e che ci mostra una stampa stretta tra esigenze editoriali, di profitto e politiche. Come si può uscire da questa situazione?

Il mio racconto non vuole lasciarci senza speranza, c'è una sequenza impressionante d fatti. Ci sono risposte che arrivano anche dall'interno della categoria. Non voglio rappresentarla come fatta da tutti  e solo da combattenti in nome della schiena dritta di ciampiana memoria. C'è in questa assetto  chi viene messo emarginato, imbavagliato e messo ai confini della redazione senza poter lavorare. C'è chi, in questo assetto, grazie al suo servilismo, grazie alla pratica dell'informazione senza domande riesce a far carriera e magari a diventare direttore di rete televisiva o di testata. Questo  per dire che sappiamo di avere le nostre responsabilità, in una categoria però in cui ci sono ancora degli anticorpi che sappiamo far agire. La manifestazione del 19 dice che sappiamo che da soli è illusorio pensare di farcela. L'abbiamo convocata in una grande piazza romana ben sapendo che non possono essere solo i giornalisti, per quanti possano essere, e ne saremo davvero tanti, a riempire Piazza del Popolo. Siamo convinti che ci sia una parte della società italiana che il tema di una informazione diversa ormai la sente e sa far avvertire la propria rabbiosa voglia di partecipare e di cambiare le cose.

In questi ultimi giorni abbiamo letto numerose polemiche con i vertici Rai. E' un dibattito però che rischia di essere lontano da chi non si occupa direttamente di questi temi. Ci aiuta a comprendere, per esempio, perché avete giudicato grave il rinvio della messa in onda di Ballarò a causa della messa in onda, nella stessa serata di uno speciale Porta a Porta dedicato alla consegna delle prime abitazione ai cittadini terremotati dell'Abruzzo?

Bisogna davvero evitare che sembri una rissa tra addetti ai lavori, in cui i giornalisti politici stanno nella stessa ristretta cerchia, e poi c'è la società italiana lontana, che guarda distratta e magari anche un po' annoiata. La scelta è grave perché sta passando in maniera sempre più scomposta l'idea che l'informazione debba essere sostituita da una comunicazione propagandistica. Questo significato ha il fatto che non abbiano potuto convivere nella stessa serata Porta a Porta e Ballarò.  Ballarò aveva già i suoi inviati in zona ad occuparsi della ricostruzione. Che bisogno c'è di dare solo una versione autorizzata e gradita al Presidente del Consiglio. Sottolineo, questo è un problema che riguarda direttamente i cittadini, non è mica un problema di orgoglio ferito di Floris, il conduttore o di Ruffini, il Direttore di Raitre. Non è una competizione tra prime donne dello schermo, come qualcuno sbagliando profondamente tede a rappresentare. Se l'informazione sulla ricostruzione io cittadino ce la devo avere solo in una versione omoltogata da Palazzo Cjhgi, viene pesantemente colpito il mio diritto di conoscere più punti di vista, più voci sulla stessa materia.

 

Natale, lei è stato anche segretario dell'Usigrai, il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico. Ci piacerebbe sapere un suo parere sulla decisione della Rai di abbandonare la piattaforma satellitare di Sky per farsene una autonoma, in compagnia del suo principale concorrente, Mediaset.

L'Usigrai ha preso una posizione molto netta a riguardo, in sintonia con perplessità espresse da tanti, dentro e fuori l'azienda. Espressa tra l'altro dal Presidente della Repubblica, che ha fatto giungere a Viale Mazzini (sede istituzionale della Rai-ndr) la sua domanda sul tema; dal Presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Zavoli che ha chiesto con molta nettezza di spiegare quale fosse l'interesse della Rai in questa vicenda, e quale fosse l'interesse del cittadini spettatori del servizio pubblico. Il punto di vista del cittadino ci è caro anche per curarci dai residui mali di corporativismo che continuasse eventualmente ad avere la categoria. Ma in tutte queste vicende a noi pare che ci sia coincidenza tra le critiche che avanza la rappresentanza dei giornalisti e le critiche, le lamentele e le polemiche che possono arrivare da parte dei cittadini organizzati. E' lo stesso filo conduttore che abbiamo seguito per esempio nella battaglia di questi mesi contro il disegno di legge sulle intercettazioni, mettendo in collegamento il nostro diritto di cronisti a far cronaca giudiziaria, che verrebbe pesantemente colpito dall'approvazione definitiva del ddl Alfano, con il diritto dei cittadini a  conoscere vicende che altro che gossip

o pettegolezzo, sono vicende di assoluta rilevanza sociale. A voi così impegnati tra l'altro sul fronte della sanità, faccio un esempio: la vicenda della clinica Santa Rita d Milano. Le intercettazioni: non abbiamo trovato in un anno e più dalla presentazione del ddl Alfano un esponente della maggioranza che abbia saputo spiegarci credibilmente perché quel tipo di intercettazioni non potrebbero più essere portate all'attenzione della pubblica opinione. Ma non c'è stato un interesse diffuso nel conoscere le efferatezze che avvenivano in quella clinica? Perché vogliono diamo che siamo una congrega di guardoni ansiosi di spiare dal buco della serratura? Lì non abbiamo mica raccontato pettegolezzi privati, abbiamo riportato risvolti di una vicenda che toccava letteralmente la vita delle persone. E con quello stesso racconto abbiamo magari evitato che qualcuno andasse a farsi trapiantare da medici senza scrupoli.

La Rai si può ancora considerare un servizio pubblico?

A Viale Mazzini qualcuno sta facendo di tutto per indurci a non associare più i due termini.  Scelte delle ultime ore fanno venire la voglia del diffidarli quasi dal poter usare il termine di servizio pubblico. Noi vediamo che ci sono ancora delle aree nelle quali il servizio pubblico continua ad essere fatto. Con difficoltà sempre maggiori, perchè dell'aria del tempo fa parte anche la decisione Rai di togliere la copertura legale agli autori delle inchieste di Report. Fa parte l'ostruzionismo burocratico che si sta mettendo in atto nei confronti di un programma come Anno Zero. La si può pensare in maniere diverse su questi differenti tipi di giornalismo, ma credo che tutti si debba essere contenti che esistano ancora nel servizio pubblico delle aree di offerta che almeno non si omologano all'emittenza commerciale. Aree di offerta che costringono a pensare, offrono stimoli a una riflessione civile. In queste ore il Presidente della Vigilanza Zavoli ha giustamente criticato il debordare del programma di Miss Italia. Dobbiamo tenacemente difendere le aree di servizio pubblico. Impegnare anche noi giornalisti a considerare con atteggiamento meno pigro, meno sfiduciato o rinunciatario un assetto della comunicazione in cui troppo spesso i problemi dei cittadini comuni spariscono, o vengono confinati in trasmissioni marginali. Mentre, per esempio, abbiamo una grande presenza della "voce" della gente nei servizi  telegiornali dedicati ai temi più frivoli, o alle non notizie. Penso ad esempio come le interviste fatte in spiaggia per conoscere quale sia il passatempo preferito dell'estate siano un modo furbo e al tempio spesso offensivo per dar voce alla gente. Non è questa l'opinione pubblica a cui pensiamo, non è dar voce ai cittadini per servizi di "distrazione".

 

I sindacati dei giornalisti hanno davvero fatto la loro parte in questi anni?

E' antipatico giudicare se stessi o l'organizzazione che si presiede. Dico che dobbiamo fare molto di più. Ma su un punto mi sento di dare garanzie a chi è esterno al mondo della comunicazione ma non si sente tale, in quanto interessatissimo ai contenuti dell'informazione: ci sono sigle che il vizio del corporativismo hanno cercato di curarlo, e hanno adottato come criterio guida delle loro scelte un altro metro di misura. Quello che facciamo riguarda solo noi o un diritto più generale? Abbiamo scelto di assumere il punto di vista di chi è fuori della categoria come elemento determinante nell'orientare le nostre scelte. Un elemento simbolico non trascurabile credo sia anche nello slogan che abbiamo scelto per questa manifestazione, cioè "dovere di informare, diritto di sapere". Vogliamo vedere le cose con gli occhi di milioni di italiane e di italiani che hanno davvero il diritto di sapere.

Come si può tornare ad ascoltare i cittadini? Quali sono secondo lei delle priorità per l'informazione per tornare davvero ad attrarre pubblico.

Provare a ridare contenuto, densità alla nostra informazione. Uno dei fenomeni che più mi preoccupano di questi ultimi anni è il suo progressivo svuotamento. Abbiamo sempre più spesso vestito con confezioni accattivanti cose che non erano notizie. Penso ad esempio a come i telegiornali abbiano poco alla volta incrementato gli spazi di quelle non notizie che servano ad attrarre la curiosità, quasi la versione televisiva dello "strano ma vero" della settimana enigmistica. Il gattino che sale sull'autobus in una cittadina della Gran Bretagna ed ogni mattina fa il suo giro sull'autobus, o i numerosi servizi sui gusti di gelato preferiti dagli italiani sono alcuni degli esempi che mi vengono in mente da spettatore.

Qualche mese fa abbiamo co-presentato il Rapporto di Medici senza Frontiere in cui si mette a confronto in un anno di telegiornali gli spazi dedicati alle più importanti crisi umanitarie mondiale con quelli dedicati a vicende come ad esempio quelle della coppia Briatore-Gregoraci. Bene, c'è da vergognarsi come categoria a leggere i dati di quel raffronto. Questo è uno dei problemi che sento come più seri, e una delle questioni su cui è necessaria una svolta da parte nostra.

Un altro tema è rappresentato da un plurale: i conflitti di interesse. Certo, sull'informazione italiana pesa il conflitto di interessi gigantesco che fa capo al Presidente del Consiglio. Ma non dobbiamo dimenticare che quasi tutto l'assetto dell'informazione è gravato da commistioni improprie tra il lavoro di editore con altri interessi. Abbiamo un peso notevole di imprenditori che come primo interesse hanno quello dell'edilizia, o dell'impresa automobilistica, o dell'energia, o della sanità privata, o della finanza e del credito. Tutto  questo complesso di interessi che si mescolano alle volte in modo inquinante con il compito di informare sono per noi un impegno di lavoro al quale dobbiamo ricordarci di assolvere.

Torniamo in conclusione alla manifestazione di questo sabato. L'appuntamento è per le 16 a Piazza del Popolo. Come stanno andando le adesioni e come avete pensato di strutturare la manifestazione?

Le adesioni stanno andando piuttosto bene. Scherzando si potrebbe dire che Rai e il Presidente del Consiglio ci stiano dando una mano a pubblicizzare questa manifestazione  a ricordarne l'importanza di questa manifestazione. Le adesioni sono davvero tante e si possono verificare sul nostro sito. La cosa importante da sottolineare è che oltre che dal mondo dell'informazione, la gran parte delle adesioni stia arrivando da chi è esterno all'informazione. Vuole dire che la scelta di Piazza del Popolo non è stata un azzardo. La scelta di far incontrare i giornalisti che non ci stanno in questo assetto con i cittadini che non vogliono questo tipo di informazione sarà premiato dalla Piazza

La struttura della manifestazione è in divenire. Di certo non si tratterà di una manifestazione corporativa. Parlerà certo il  sindacato dei giornalisti, che ha promosso la manifestazione, ma avremo voci del mondo del lavoro, della scuola. Ci sarà chi ci parlerà dei diritti costituzionali, o della democrazia italiana. Abbiamo voluto una manifestazione che tenesse in secondo piano le adesioni dei partiti non per qualunquismo antipartitico, che davvero non appartiene al nostro sindacato, ma perché siamo convinti che sabato possano trovarsi in piazza senza preoccupazioni di schieramento tutti quelli che vogliono una informazione diversa. Credo che la piazza sabato sarà una bella sorpresa.

Redazione Online

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