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Editoriali

punto_29_07_10Un codicillo nascosto nella manovra minaccia di stravolgere i principi di legalità e trasparenza dei lavori pubblici: con la nuova norma il governo Berlusconi autorizza tutti i dirigenti ministeriali ad assegnare contratti milionari con procedure "secretate". Ogni capo della burocrazia romana potrà decidere personalmente, in pratica, non solo di affidare un maxi-appalto a un'impresa di sua fiducia, evitando così qualsiasi gara, ma addirittura di tenere riservata la stessa esistenza del contratto, senza dover pubblicizzare contenuti, importi e aziende beneficiate. Secondo i pochissimi esperti che se ne sono accorti (un paio di parlamentari del Pd e uno sparuto drappello di giuristi e magistrati), si tratta di una specie di controriforma del codice degli appalti che minaccia di azzerare gli obblighi di trasparenza e vanificare i controlli su un intero settore miliardario della spesa pubblica.
La norma-scandalo è "l'articolo 8, comma 10" della manovra per risanare i conti pubblici. Il governo ha usato una formulazione, con un doppio giro di rimandi legali, che sembra fatta apposta per non lasciar capire niente. Il comma 10, infatti, recita testualmente: "All'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo la lettera d), è inserita la seguente: "d-bis) adottano i provvedimenti previsti dall'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni". Traduzione in italiano: d'ora in poi qualsiasi dirigente ministeriale è libero di assegnare appalti con procedure segrete.
La legge del 2001, infatti, è quella che stabilisce i poteri dei burocrati più importanti. Il nuovo codicillo ("d-bis") allarga le eccezioni alle regole di trasparenza, concorrenza e controllo. Finora questi poteri eccezionali spettavano solo all'autorità politica: per tenere segreto un contratto pubblico, serviva l'autorizzazione motivata quantomeno di un ministro, se non della presidenza del Consiglio.

D'ora in poi, invece, qualsiasi capo-settore della burocrazia potrà decidere un proprio personalissimo elenco di "opere, servizi e forniture da considerarsi "segreti" oppure "eseguibili con speciali misure di sicurezza"". Una distribuzione a pioggia dei poteri di "secretazione" che, dopo tanti scandali svelati dalle inchieste sulla Protezione civile, rischia d'innescare una moltiplicazione delle "cricche".
"In realtà gli appalti secretati sono già ora una torta ancora più grande di quella distribuita dalla Protezione civile", denuncia il senatore Antonio Rugghia, capogruppo Pd in commissione Difesa: "La semplice dichiarazioni di segretezza o sicurezza dell'opera ha consentito in questi anni di assegnare centinaia di appalti pluri-milionari a trattativa privata e senza alcuna pubblicità.

In molti casi, ad esempio per i tre affari da 200 milioni per le nuove carceri in Sardegna, queste procedure eccezionali risultano aver premiato le stesse ditte che sono inquisite per gli appalti della Protezione civile alla Maddalena. Ora, con il comma 10, si cancella anche quel poco che che resta dei canoni di trasparenza e concorrenza che erano stati sanciti dalla legge Merloni per far uscire l'Italia da Tangentopoli".
I pochi magistrati e giuristi che hanno cominciato a studiare il comma 10, a questo punto temono una specie di chiusura del cerchio dell'illegalità. Anche per l'ampiezza della norma. Le procedure segrete possono essere decise direttamente dai burocrati, infatti non solo per contratti delicatissimi (ad esempio per forniture militari o tecnologie da 007) ma anche per qualsiasi opera che richieda "misure di sicurezza", come carceri o caserme.

Lo strano silenzio istituzionale sia della maggioranza che dell'opposizione fa riflettere.....!
Noi che dobbiamo fare? Dobbiamo anche noi "appecoronarci" senza far sentire la voce della società civile che si ribella.

Non dimentichiamo che è in corso una indagine fresca fresca che ora sta bollendo visto che l'ex senatore Nicola Di Girolamo stà iniziando a collaborare con il Procuratore.
Mi riferisco all'esplodere dello scandalo Telecom-Fastweb. Il gruppo Mokbel avrebbe fatto arrivare circa 7,5 milioni di euro per il tramite dell'ex senatore Nicola Di Girolamo (arrestato nel marzo scorso) l'uomo che le cosche calabresi e Gennaro Mokbel avrebbero portato fino a Palazzo Madama aiutando la sua elezione nella circoscrizione estero. Quei soldi, ha raccontato Di Girolamo nelle scorse settimane iniziando a collaborare con il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, dovevano servire per garantire alla Digint (società di cui il senatore e Mokbel detenevano il 51%, il restante 49% era in mano a Finmeccanica) commesse e appalti per conto della holding della Difesa. «Tramite Nicola - spiegava al telefono il faccendiere romano - ci hanno offerto di aprire un'agenzia per tutto il centro Asia per la vendita di prodotti per la sicurezza, prodotti militari e elicotteri». Parole che proprio Di Girolamo aveva chiarito nel corso dei suoi interrogatori con Capaldo. «Dal 2008 e nell'arco di tre anni - ha infatti spiegato l'ex senatore - Digint avrebbe avuto contratti di fornitura e partecipazioni da società legate a Finmeccanica per un totale di 50 milioni di euro». Uno sviluppo aziendale che avrebbe poi permesso al gruppo Mokbel di rivendere la Digint (una scatola vuota da riempire di contratti, secondo il Ros) a Finmeccanica per un prezzo esorbitante. E i soldi di cui ha parlato Di Girolamo secondo l'accusa avrebbero fatto parte di un versamento complessivo di otto milioni e 300 mila euro che, almeno nominalmente, dovevano servire per l'acquisizione della Digint. Di questi, però, 7,5 erano in realtà la "commessa" riservata a Cola per il suo interessamento.

Immaginate cosa potrà succedere ancora se passa questo "codicillo" ....ed è sicuro che passerà visto che per molti deputati e senatori conta più la poltrona del bene istituzionale.

Aldo Cerulli
Segretario Regionale di Cittadinanzattiva

Redazione Online

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