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Editoriali

Mercoledì 13 aprile, la Camera dei deputati con l’approvazione della legge Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha deciso chi potrà godere del diritto alla giustizia e chi no. Il testo, emendato dalla Commissione Giustizia della stessa Camera, tornerà in Senato per l’approvazione definitiva. Sembra una commedia dell’assurdo ma, invece, è proprio quello che accade in Italia. Il Governo e la sua maggioranza parlamentare hanno scelto di manomettere la Costituzione Italiana laddove afferma e garantisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. 

La legge votata ieri è volta più a favorire l’interesse degli imputati, ai quali le procedure penali già consentono di allungare i tempi del processo per raggiungere il traguardo della prescrizione del reato, piuttosto che a tutelare le vittime o i danneggiati, i quali hanno interesse all’accertamento della verità e non, come sovente si sostiene da alcune parti, a soddisfare il desiderio di vendetta.
E' per questo che ieri, per le vittime dei reati è morta la giustizia. Oggi è una giornata di lutto.
Per capire meglio ciò che accadrà concretamente alla giustizia italiana, prendiamo tra i tanti due esempi, il caso de “Istituto Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello, in provincia di Cosenza, ed il caso de l’Aquila.
Nel primo, ventisette dipendenti, tutti incensurati, sono stati rinviati a giudizio nel 2009 per associazione a delinquere finalizzata a sottrarre, per fini personali, il denaro che doveva servire ad assistere, anche sotto il profilo sanitario, gli ospiti dell’istituto i quali, invece, sono stati lasciati in totale abbandono. Tanto grave e complesso è risultato il reato che si è reso necessario stralciare dal processo principale ben altri 3 procedimenti. Cittadinanzattiva è parte civile nei processi iniziati nel mese di giugno 2009.  
Dei ventisette rinviati a giudizio, cinque  imputati hanno chiesto il rito abbreviato e sono stati condannati con sentenza già emessa nel novembre del 2009. Gli altri ventidue rischiano - si fa per dire! -  una efficace “via di fuga” che consiste nel vedersi ridurre il tempo della prescrizione del reato considerato che, trattandosi di reati punibili con pene inferiori a dieci anni e di imputati incensurati, la prescrizione verrà calcolata aumentando gli anni di pena massima solo di un sesto e non di un quarto come per i recidivi.
In modo analogo, ciò potrebbe verificarsi a L’Aquila. Qui Cittadinanzattiva partecipa sin dalle indagini preliminari in sei procedimenti aperti dopo il terremoto del 6 aprile 2009. Anche a l’Aquila, per quanto è dato sapere, gli imputati sono tutti incensurati. Ci siamo costituiti parte offesa a sostegno dei familiari delle vittime dei crolli, dalle quali abbiamo ricevuto esplicito consenso, ed abbiamo potuto nominare nostri periti anche nell’ambito dell’incidente probatorio per il crollo dell’edificio di via XX Settembre 79. Ci siamo costituiti parte civile sia nei processi già avviati (Convitto nazionale, Facoltà di Ingegneria, Casa dello Studente) che in quelli che – si spera - verranno avviati a breve.
Tutti i processi dell’Aquila, trattandosi di reati punibili con pene inferiori a dieci anni, di imputati incensurati e di procedimenti problematici per la loro complessità, hanno anche loro una efficace “via di fuga”, la prescrizione abbreviata. Vale come esempio il procedimento relativo alla Casa dello Studente, nel quale essendo ancora in corso l’udienza preliminare, potrebbe di fatto verificarsi la prescrizione dei reati (omicidio colposo e crollo colposo) perché la data di assunzione della qualità di imputato, che avviene con il rinvio a giudizio, risale a circa un anno fa.
Stessa sorte potrà essere riservata, per fare altri esempi, ai processi che riguardano la clinica Santa Rita di Milano ed anche l’incidente ferroviario di Viareggio.
La legge colpisce inoltre, indiscriminatamente, tutta la Magistratura poiché prevede la segnalazione, con il fine della sanzione disciplinare nei confronti del magistrato, al Ministro della Giustizia ed al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione se non viene emessa sentenza entro i termini di durata ragionevole del processo fissati per ogni grado di giudizio: 3 anni I grado, due anni II grado, 1 anno e sei mesi per ogni grado rinvio.
Ben magra consolazione per le vittime ma che produrrà effetti devastanti sul lavoro di ogni singolo magistrato italiano. La preoccupazione dunque, più che fondata, è che dopo tanto lavoro e tanti soldi pubblici spesi non si approdi a nulla o, peggio, che si approdi ad una sentenza “forzata” per scongiurare la sanzione disciplinare.
Per contro, contestualmente, non si fa nulla, ad esempio, per mettere mano alla vecchia geografia giudiziaria o per chiudere gli esorbitanti uffici dei giudici di pace. In altri termini, quello che i cittadini non gradiscono è il vedere considerata la giustizia un affare privato piuttosto che una grande opera pubblica sulla quale investire per renderla efficiente e celere, come pure ci ricorda l’Europa. È del dicembre 2010, infatti, la raccomandazione agli Stati membri nella quale si afferma - tra le altre cose - che l'efficacia dei giudici e dei sistemi giudiziari è una condizione necessaria per la tutela dei diritti di ogni persona; che la stessa efficacia consiste nell’emettere decisioni di qualità entro un termine ragionevole; che spetta alle autorità creare le condizioni che consentano ai giudici di svolgere la loro missione; che ogni Stato deve assegnare ai Tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate che consentano loro di operare in modo efficace; che ai tribunali deve essere assegnato un numero sufficiente di giudici e di personale adeguatamente qualificato.
Da quello che è accaduto emerge che la nostra classe politica non è stata in grado o non ha voluto recepire almeno alcune di queste possibili soluzioni ai problemi di cui soffre oggi il servizio giustizia in Italia.
A questo punto ai cittadini italiani, colpiti da una legge ingiusta e discriminatoria, non resta che attendere le valutazioni del Presidente della Repubblica e la pronuncia della Corte Costituzionale per riequilibrare a favore delle vittime (o danneggiati) quello che la politica ha sbilanciato a favore degli imputati (o controparti).



Mimma Modica Alberti, Coordinatore nazionale Giustizia per i diritti-Cittadinanzattiva

 

Mimma Modica Alberti

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