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Editoriali

punto_20_03_2008Che in Italia il merito, la gerarchia, il premio ai più bravi non vada di moda si sapeva. Ma che un brutto voto finisse in una denuncia penale pareva inimmaginabile perfino qui. Prendete nota: è successo. Un primario del Santo Spirito di Roma, uno degli ospedali più antichi d'Europa, non ha gradito il giudizio del Nucleo di Valutazione. E senza pensarci due volte si è rivolto al magistrato chiedendogli di aprire un'inchiesta penale: come avevano osato non riconoscergli il massimo del massimo?

Per capirci qualcosa occorre fare un passo indietro. A quella legge 286 del1999 che tentò di introdurre un timido cenno di meritocrazia.

Visto che nel sistema pubblico non è possibile punire i lavativi, tutelati da una rete di garanzie abnorme (si pensi al comune di Latina costretto a riassumere uno spazzino alcolizzato rimasto assente venti giorni di fila senza un certificato medico perché «era troppo ubriaco per rendersene conto »), si decise di dare ai migliori almeno un piccolo aumento.

Piccolo, sennò i sindacati avrebbero storto il naso: 15%.

Su che base? Una valutazione. Da parte di chi? Dopo lunga trattativa, fu trovato un accordo: il giudizio sarebbe stato dato da Nuclei di Valutazione concordati democraticamente tutti insieme. Anche questa omeopatica innovazione, però,è sfociata nella prassi che i pessimisti temevano. Per non sollevare discussioni, tutti bravissimi. Al punto che lo stesso ministro Luigi Nicolais, come sanno i lettori del Corriere, rivelò che, su 3.769 dirigenti dei vari ministeri,

tutti, ma proprio tutti, avevano il massimo dei voti e dunque il massimo dello stipendio.

Immaginatevi perciò la collera che ha colto quel primario di cui dicevamo, quando in base agli obiettivi concordati e non raggiunti, il Nucleo di Valutazione di «Roma E», gli ha negato i

Cento punti su cento che voleva. Tutta «colpa», si fa per dire, del direttore generale, del direttore sanitario e di Teresa Petrangolini, segretario generale di Cittadinanzattiva. La quale, dopo essere entrata nelle commissioni di due Asl laziali e avere scoperto che tra il 40 e il 60% del «fondo per le incentivazioni» viene distribuito a tutti come acconto, a prescindere dalla bravura o dalla mediocrità dei singoli, si è fatta un punto d'onore di sottrarsi al giochino del «tutti uguali, tutti bravissimi, tutti premiati».

Fatto sta che, incassati solo 67punti su 100, invece che ringraziare il cielo per non essere sceso sotto i 65, dove è la «soglia di negatìvìtà», il «dirigente di unità complessa» (così si chiamano ora: «primario» era troppo poco burocratico) ha preso carta e penna denunciando la «immotivata incongruità della valutazione» e intimando ai commissari di restituirgli il «pieno punteggio -100/100 - con l'incondizionato stralcio della sostanza e di ogni suo eventuale e/o

presumibile effetto della valutazione». E non avendola avuta vinta è andato oltre il ricorso amministrativo di tanti colleghi: denuncia penale. Chi abbia ragione e chi torto è quasi indifferente. Il punto è:in quale altro Paese succedono episodi così? Avanti di questo passo, il comparto pubblico potrebbe adottare come inno una canzone di Caterina Caselli: «Nessuno mi può giudicare...»

 

Articolo di Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 19 marzo 2008, pagina 36 

Redazione Online

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