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Approfondimenti

Dopo il terremoto del 24 agosto molte cose sono cambiate. Quel movimento di terra ha prodotto lacrime, perdite, spoliazione. I morti aumentati giorno dopo giorno, le difficoltà della zone colpite, le prime inevitabili polemiche e gli aiuti che da tutto il paese si sono materializzati, sono effetto unico di quel movimento di terra.
Amatrice, perché il terremoto del 24 agosto sarà ricordato con questo nome nonostante l’epicentro sia ad Accumoli, è uno dei borghi tipici del Centro Italia.
Fatto di una via centrale, qualche negozio, ristoranti e tanto verde intorno. Qui nel secolo scorso le famiglie, tutte composte da tanti figli, facevano i pastori, gli allevatori, gli agricoltori. E da qui, anzi da Sommati una delle 69 frazioni di Amatrice, partì verso Roma una giovane ragazza “a servizio”, come si diceva una volta, di nome Angela Bonanni.
Da Roma, alle 7.28 parto verso Amatrice con la mia macchina. La sera prima, per non disturbare mia moglie e mia figlia, mi sono preparato le scarpe più pesanti, la giacca a vento e le calze lunghe. A Roma fa ancora caldo. Ad Amatrice mi aspetto il freddo.


Prendo la Salaria e la faccio senza trovare traffico. Mentre vado ripenso alle volte che da ragazzo sono stato ad Amatrice. Per diversi anni ho fatto campeggio a Borbona un paesino vicino Posta che è a due passi da Amatrice. Quando andavamo sul Terminillo passavamo da Leonessa e una puntata a Amatrice era normale.
Facendo la Salaria passo nella Sabina, la mia terra di origine, e ogni cartello stradale mi ricorda momenti della mia vita, di quando ero in seminario e spesso oltre a conoscere i paesi conoscevo i parroci di quei luoghi.
La Sabina è terra dolce, mite, verde che si insinua dai confini con le Marche, con l’Umbria fino a arrivare a Roma. E’ fatta di tanti paesi, contornati da frazioni e borghi in alcuni casi piccoli gioielli. Le strade, i movimenti degli uomini sono e danno un altro senso al ritmo frenetico del vivere a Roma.
Arrivo a Rieti alle 9.30, proseguo sulla Via Salaria direzione Ascoli Piceno. Per Amatrice ancora nessuna segnalazione. Passo Antrodoco incassato a fondo valle, proseguo davanti le Terme di Cotilia, vado avanti e non trovo macchine.
La Salaria dopo Antrodoco passa dentro strette valli e le curve sono come me le ricordavo: strette, sinuose e frastagliate allo stesso tempo. Vedo che ci sono lavori per ampliare la sede stradale. Ci sono pochi operai in giro. Continuo a cercare segnali stradali che mi dicano quanto manca ad Amatrice. Niente.
Entro nel territorio del Comune di Posta. Da qui sento tornare i ricordi di tanti anni fa: mi ricordo che più avanti c’è il bivio che mi indicherà Borbona, paesetto alle spalle del Terminillo. Lo passo. E’ lì stretta la via, brutta come sempre è stata. Ma vado oltre sempre sulla Salaria. Lo sguardo mi cade su un campo alla mia sinistra, ampio, piano, in un rettilineo della Salaria: ci sono macchine, camion rossi. Sono dei Vigili del Fuoco. Lo sguardo si allarga, così come la Salaria. Vedo nomi che mi fanno salire la tensione, nomi che ho rivisto sulla cartina e sui giornali in questi giorni. Sulla mia sinistra vicino un distributore di benzina che sembra dismesso ci sono tende. Proseguo. Trovo la scritta Amatrice e lascio la Salaria per prendere la Strada regionale 260. Qui vedo un Suv fermo e chiedo indicazioni perché non c’è nessun cartello che indichi Amatrice. Sono forestieri, mi sembrano veneti. Mi dicono che stanno aspettando un veterinario. Dopo un secondo arriva il veterinario del posto che saluta calorosamente i due e poi, come si usa qui, “Vieni dietro a me ti porto vicino e poi ti dico come arrivare.” Via dietro al veterinario. Curve. E mi aspetto di vedere Amatrice da un momento all’altro. Ad un certo punto mi fa cenno di svoltare a sinistra, il segnale indica San Benedetto, ci sono militari dell’Esercito, delle tende messe in un giardino di una villetta. Ci sono altre case. Ma non vedo lesioni, crolli. Nulla. Proseguo per circa 4 km su una strada che definire carrabile sarebbe da ricovero. Ci passa una macchina sola. E mi trovo diverse volte macchine della Protezione civile, dell’Esercito o private che arrivano a tutta dal senso contrario al mio. Sembra una strada adatta al rally. Sale, scende, curva e controcurva, Non ci sono protezioni. Trovo una macchina della polizia e chiedo dove andare. Incrocio il campo messo in piedi dalla Protezione Civile del Friuli Venezia Giulia, vedo i soldati del 1°!’Reggimento San Marco al lavoro sulla strada per finire il passante stradale. Salita e sbuco su una via. C’è un segnale giallo con la scritta Amatrice. Vado avanti, curva e vedo case. Alla mia destra recinto con tende e campo della Regione Lazio, ufficio mobile delle Poste, ufficio mobile della BCC. Persone in giro, per strada. Arrivo alla fine della salita e chiedo al Vigile urbano dove sia il PASS (Posto assistenza socio sanitaria) messo in piedi dalla Regione e gestito dalla ASL di Rieti. Parcheggio lì, in quello che a naso mi sembra il punto centrale di quel via vai fatto di uniformi e di tute.
Sceso dalla macchina sono le 10.05 e fanno 15 gradi. Minaccia pioggia. Fa freddo rispetto a Roma. Guardo le persone che vedo intorno a me. Mi sembra di stare dentro il set di un film. Ci sono due categorie di persone: quelle con la divisa e quelle senza divisa. E quelle senza hanno lo sguardo smarrito, il passo lento, abbinamenti di vestiti e colori a volte improbabili. E’ tutto vero, mi dico, ma sembra un terribile passaggio di un film. Faccio il viale, per me è il viale, non so come si chiama e non lo voglio sapere fino a quando non lo si rimetterò in piedi. Arrivo all’incrocio, anzi alla curva a gomito della strada che sto facendo. C’è un vigile, un altro, e penso “Ammazza quanti vigili urbani”. E chiedo pure a lui dove è il PASS. Mi indica una struttura salendo il viale, la RSA Don Minozzi mi dice chiamarsi, molto grande. Il PASS sta lì. Lo ringrazio e noto due cose: è un vigile di Roma Capitale così come quelli che avevo incontrato prima. Mi sembra quasi di stare a casa così. E forse magari li guarderò con meno ironia tornando a Roma. La seconda è un cazzotto in pieno volto. Con la coda dell’occhio, oltre la spalla destra del vigile a cui ho chiesto informazioni vedo o meglio non vedo più quello che era il corso di Amatrice. E’ un attimo, lungo, infinito, eterno. Ora ho il sole forte, caldo, intenso di un giorno di agosto, ho i pantaloncini corti e urlo come un’aquila perché ero arrivato prima degli altri miei compagni al centro di Amatrice. Ora, torno a ora. Fa freddo. E’ settembre. Porto i pantaloni lunghi e non ho fatto nessuna corsa, anzi avrei voluto evitare questo viaggio. Ma sono qui. Riprendo a salire. Incrocio squadre di Vigili del Fuoco a gruppi di 4 che vanno a ispezionare le case. Oggi iniziano a fare accertamenti sull’agibilità.

E anche qui un flash su alcune cose che non mi spiego. Passando nella frazione o guardando altre costruzioni ce ne sono alcune che non sembra abbiano avuto nemmeno lesioni. Altre che sono aperte, tagliate in due con una parte caduta e un’altra che sta in piedi tranquillamente. Oppure parti di edifici lesionati e altri no. Una costruzione mi colpisce: il piano terra con pietra viva esterna a vista è in piedi e regge un palazzo di 4 piani. Il secondo piano su un lato è aperto, smontato come le case delle bambole delle bambine. Il terzo e il quarto quasi nulla come se il terremoto avesse bussato solo al secondo piano.
Arrivo al PASS e chiedo della dottoressa responsabile. E’ occupata con una visita. Aspetto. E inizio a parlare con un’operatrice. E’ di Amatrice. E’ gentile. Mi racconta che per lei e altri come lei che hanno un lavoro le cose, anche se con fatica, si sistemeranno. Teme per chi ha attività commerciali. Perché sa che è dura. E mi racconta che stanotte ci sono state altre belle scosse. “Ma qui rinasciamo” mi fa. Arriva una persona che potrà avere intorno ai 70 anni e che deve farsi fare una ricetta. Ci mettiamo a parlare. Ormai sono del posto anche io. E’ sereno. Ma anche lui mi dice la stessa cosa “Amatrice rinascerà e senza che aspettiamo. Ce la ricostruiamo noi. Ma sono preoccupato per chi aveva un’attività commerciale. Per quelli sarà più dura.”
Mi volto e ecco la dottoressa. Parliamo. Le racconto dell’impegno di Cittadinanzattiva per i paesi colpiti dal sisma e che stiamo, grazie a donazioni di aziende, per far arrivare macchinari e attrezzature sanitarie. La dottoressa ringrazia e io la lascio lavorare perché sono arrivate altre persone da visitare.
Rifaccio la via al contrario. E mentre scendo il viale vedo bene la zona rossa. Punto il vigile di prima. Ormai è diventato il vigile di quartiere per me. Gli chiedo dove trovo il Sindaco. Mi dice che lo trovo al COC e mi indica dove si trova il COC.
E di fronte a dove ho parcheggiato. Mentre scendo penso a come il terremoto metta in subbuglio anche la nostra lingua: PASS, COC...cosa altro dovremo imparare in questi mesi?
Logicamente faccio il figo e non chiedo che significa COC. Costeggio un cancello e un parco giochi entro e vedo il Cartello “Centrale Operativa Comune” e accanto a questa il Sindaco Pirozzi che sta parlando con una persona aspetto. Finisce, è solo, mi avvicino e iniziamo a parlare. Soli. All’inizio mi guarda con diffidenza. Gli dò i miei riferimenti e il biglietto da visita. Lo sguardo cambia. Sa chi siamo e che facciamo. Continuiamo a confrontarci e a discutere. Mi lascia i suoi recapiti. Prima di lasciarci gli racconto una storia:”Anni fa una ragazza di nome Angela Bonanni, di Sommati, partita a servizio per Roma...”. E lui mi fa “I Bonanni stanno tutti qua a Sommati” E io proseguo:”Quella ragazza a Roma conobbe un ragazzo che faceva il carabiniere. Era di Arsoli. Si chiamava Giuseppe Napoleoni. Quella ragazza era mia nonna.”
Il Sindaco mi abbraccia come se fossimo parenti che si ritrovano dopo anni
Oggi Sommati non sono riuscito a vederla. Ma tornerò, in fondo anche qui ho un pezzo delle mie radici.

 

Adriano Paolella

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