L'acqua che esce dai rubinetti delle nostre case è una risorsa controllata, sicura, economica, o perlomeno così dovrebbe essere per tutti i cittadini. Regole e definizioni sull'argomento sono state fissate da alcuni decenni dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha stabilito delle linee guida sui parametri di qualità poi recepite dall'Unione Europea. Attualmente la legislazione vigente in Italia (D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31) definisce le acque potabili come "acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, utilizzate in un'impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l'immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori".
L'acqua, per essere potabile, non solo non deve "contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana", ma non deve superare neanche determinati valori massimi di sostanze non propriamente nocive per la salute. Le norme di riferimento per la qualità delle acque destinate al consumo umano in Italia sono i Decreti legislativi n. 31/2001 e n. 27/2002, attuativi della direttiva 98/83/CE. Questi decreti prevedono che su tali acque vengano eseguiti due tipi di controllo analitico chimico-fisico e microbiologico (controlli interni, di responsabilità del Gestore del Servizio idrico integrato, effettuati in laboratori interni; controlli esterni effettuati dalle Aziende Asl insieme alle Arpa territorialmente competenti). Il giudizio di idoneità dell'acqua destinata al consumo umano spetta all'Azienda Sanitaria Locale territorialmente competente.
L'idoneità viene stabilita sulla base di 62 parametri di qualità chimica, fisica e batteriologica che l'acqua deve rispettare per essere considerata potabile. I parametri di qualità sono stabiliti dalle parti A (parametri microbiologici) e B (parametri chimici) dell'Allegato I di Decreto legislativo 31/2001, dove sono elencati i valori limite superati i quali occorre provvedere con adeguati interventi.
I principali parametri analizzati sono:
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chimici (solfati, cloruri, calcio, sodio, potassio, magnesio, nitrati, ecc.);
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solventi clorurati;
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metalli (ferro, manganese, cromo, etc.);
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microinquinanti (diserbanti, pesticidi, prodotti intermedi delle aziende chimico-farmaceutiche, etc.);
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microbiologici (coliformi totali e fecali, enterococchi, etc.).
I principali parametri di qualità dell'acqua, loro caratteristiche e limiti di legge previsti: consulta la tabella
La normativa, in particolare all'articolo 13 del D. Lgs. 31/2001, prevede anche la possibilità di stabilire deroghe ai valori dei parametri "fissati (...) entro i valori massimi ammissibili stabiliti dal Ministero della sanità con decreto da adottare di concerto con il Ministero dell'ambiente, purché nessuna deroga presenti potenziale pericolo per la salute umana e sempre ché l'approvvigionamento di acque destinate al consumo umano conformi ai valori di parametro non possa essere assicurato con nessun altro mezzo congruo". Il decreto pone un limite massimo di 3 anni alle deroghe, che devono essere concesse dal Ministero della Sanità su richiesta delle regioni o delle province autonome, periodo che può essere rinnovato per altri tre anni sempre dal Ministero. La normativa prevede un terzo e ultimo periodo di deroga, sempre per un massimo di tre anni, da sottoporre direttamente alla Commissione Europea cui spetta la decisione sulla loro concessione o meno.
Le deroghe dovrebbero essere considerate come uno strumento da adottare in casi eccezionali e particolarmente critici da affrontare, per concedere più tempo alle autorità competenti di realizzare tutti gli interventi necessari per diminuire i valori oltre i limiti di legge e garantire acqua di qualità a tutti i cittadini. Inoltre, una volta adottate, devono essere gestite con grande attenzione e trasparenza
da parte delle amministrazioni competenti e delle società che gestiscono il servizio idrico, per garantire ai cittadini le informazioni corrette sui rischi per la salute soprattutto per le categorie più sensibili, come i neonati e i bambini sotto i tre anni, e per questi assicurare una fornitura di acqua che rispetti i limiti fissati dalla direttiva.
Purtroppo però negli anni sono state spesso adottate con leggerezza secondo il più classico dei copioni da commedia italiana, ovvero sono state chieste per prendere più tempo per non affrontare i problemi. Ed è così che, dalle prime deroghe richieste nel 2003, anno entro cui il Decreto Legislativo n. 31 del 2001 obbligava le Regioni a conformarsi ai valori fissati dalla norma, dopo sette anni ancora rimanevano situazioni in cui i parametri di qualità non sono conformi alla legge e i cittadini italiani bevono acqua la cui qualità è in deroga.
(ultimo aggiornamento: maggio 2012)
Il documento è stato realizzato nell'ambito dell'inchiesta-denuncia Acque in deroga