Stralciare il settore acqua dal decreto legge attualmente in discussione alla Camera
Un ravvedimento per scongiurare che l'acqua venga sommersa da una riforma le cui ricadute su qualità ed efficienza del servizio sono ad oggi incalcolabili, ma i cui rischi sono ben noti: sindaci e comunità locali di fatto estromessi da qualsiasi ruolo gestionale e di controllo; svendita delle azioni oggi in possesso di società a capitale pubblico ad imprese private; congelamento degli investimenti attualmente previsti a fronte di un incremento dei costi a carico della collettività.
Con una lettera inviata in data odierna, Cittadinanzattiva si appella al Ministro per gli affari regionali e ai rappresentanti della Camera affinché l'art. 15 del decreto legge 135/2009, che di fatto spiana completamente la strada alla privatizzazione dell'acqua, venga respinto.
"Il servizio idrico integrato in Italia presenta livelli di tutela dei cittadini pressoché nulli" commenta il segretario generale di Cittadinanzattiva Teresa Petrangolini. "Non è un caso che il settore manchi ancora di una Autorità di regolamentazione invocata perfino dagli operatori privati, e che nessuno applichi la normativa sulla valutazione civica dei servizi pubblici, vero banco di prova per costruire una alleanza strategica tra imprese e utenti".
"Piuttosto che un frettoloso decreto legge", conclude Petrangolini "si avvii un serio iter parlamentare sulla riforma del servizio idrico con alcuni punti fermi: acqua bene pubblico e non merce, diritto all'accesso minimo garantito, divieto di spreco, coinvolgimento delle Associazioni dei consumatori e degli stessi cittadini nella determinazione e nel controllo degli standard di funzionamento del servizio, come peraltro previsto dal comma 461 della Finanziaria 2008".
Per Cittadinanzattiva riveste particolare preoccupazione l'introduzione della scadenza del 31 dicembre 2011 per le gestioni "in house" del servizio, che rischia di provocare il congelamento di investimenti previsti per circa 2,4 miliardi di euro fino al 2013, con ricadute sia sulla qualità del servizio che sui costi. Il socio privato, infatti, potrebbe rifiutare di accollarsi oneri preesistenti, che rimarrebbero a carico degli enti locali e che si trasformerebbero in un aumento dell'imposizione fiscale locale. In alternativa, se ne potrebbe far carico con l'intenzione di coprirli totalmente mediante le tariffe, con un conseguente aumento del costo del servizio a carico dell'utenza.