Dai lunghi tempi di attesa alla difficoltà di accedere alle cure farmacologiche innovative, dalla carenza dei servizi sul territorio alle difficoltà psicologiche legate alla malattia. È il labirinto in cui si muove il paziente oncologico nel nostro Paese, come emerge dai dati raccolti nell’ultimo anno da Cittadinanzattiva che sarà presente con il segretario generale Antonio Gaudioso ai lavori del 55° Congresso mondiale Asco, in programma a Chicago dal 31 maggio al 4 giugno.
“Medicina personalizzata e umanizzazione delle cure sono due temi fondamentali, al centro dei lavori del Congresso ASCO, che riguardano anche il nostro Paese, come mostrano i nostri dati. Ciò significa avere la possibilità di adattare la medicina ai bisogni delle persone, così differenti nel nostro Paese soprattutto fra aree interne e città, garantire un accesso trasparente all’innovazione e insieme un percorso di umanizzazione delle cure che tenga conto dei bisogni delle persone, e ancora accessi rapidi e organizzazione dei servizi territoriali all’altezza di un Paese civile. Questo vale soprattutto per le malattie oncologiche che riguardano la vita di tanti cittadini e delle loro famiglie”, afferma Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.
Le attese
La prima problematica riguarda le lunghe liste di attesa per eseguire esami diagnostici, visite ed interventi chirurgici legati alla malattia oncologica. Oltre un cittadino su dieci segnala tempi lunghi per gli esami diagnostici (ad esempio, in media 13 mesi per una mammografia e 9 per una colonscopia) e per gli interventi chirurgici. Di poco inferiore (10%) la percentuale di cittadini con problemi di liste di attesa per le visite specialistiche (circa 8 mesi in media) ed anche per la chemio e radioterapia.
I tempi di attesa non sono garantiti ovunque nemmeno nel caso delle urgenze: circa un quarto denuncia di aver aspettato più delle 72 ore previste dal Piano nazionale sulle liste di attese per accedere alle prestazioni diagnostiche e specialistiche in caso di sospetto diagnostico; e circa il 13%, dopo la diagnosi, aspetta più dei 60 giorni previsti per l’intervento chirurgico.
Sebbene la maggior parte delle strutture (42%) risponda che in media l’inserimento dei nuovi farmaci nel prontuario terapeutico ospedaliero avvenga praticamente nell’immediato (0-15 giorni), moltissime impiegano anche diversi mesi: il 7% impiega dai 3 ai 4 mesi e il 9% dai 4 ai 6 mesi. Stessa considerazione va fatta per l’inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri di farmaci cosiddetti innovativi: in media il 60% delle strutture impiega fino ad un mese per renderli disponibili, più di un quarto fino a due mesi, ed addirittura per un pur esiguo 2% si arriva ad oltre sei mesi.
Dopo la diagnosi
Già dal sospetto diagnostico il 90% delle strutture si attiva per la presa in carico del paziente e nel 50% di esse già si assegna il codice di esenzione 048 per garantire la gratuità delle prestazioni di diagnosi e cura della patologia oncologica.
L’89% delle strutture garantisce un’equipe multidisciplinare nella gestione dei casi, affermando di assicurare il coinvolgimento di tutti gli specialisti direttamente interessati al percorso diagnostico terapeutico.
Tuttavia, nella equipe multidisciplinare alcune figure non sono sempre garantite: nell’80% dei casi manca l’assistente sociale e il medico di famiglia, nel 66% il nutrizionista, nel 55% il terapista del dolore o palliativista, nel 38% lo psicologo. Poco presente anche la figura del case manager che viene assicurata solo in una struttura su tre.
Nota dolente anche il tempo e la qualità delle informazioni ricevute dal paziente durante la prima visita: circa uno su quattro li reputi appena sufficienti o addirittura scarsi. Un terzo circa afferma che non ha avuto la prenotazione automatica di ulteriori visite o esami, ma è dovuto ritornare dal medico di medicina generale o prenotarle da solo. In un day hospital su cinque manca un servizio telefonico di riferimento per segnalare emergenze, eventi avversi nella terapia, o chiedere consigli.
Dopo la dimissione dall’ospedale, più di un cittadino su quattro lamenta la scarsa reattività del territorio, anche perché solo poco più di un terzo dei day hospital individua un referente che si occupi della continuità assistenziale.
Non sempre inoltre il paziente riesce a curarsi vicino casa: oltre il 55% accede ad un DH fuori dal proprio Comune ed il 7% addirittura fuori Regione. Il 38% impiega mezz’ora/un’ora per recarsi al DH e un ulteriore 14% fino a due ore.
Umanizzazione e personalizzazione delle cure
Sebbene oltre il 90% delle strutture garantisca attenzione al dolore e cure personalizzate, il 75% non effettua da subito la valutazione psicologica e il 66% non prevede percorsi per tutelare la capacità riproduttiva nei pazienti oncologici.
Il 40% dei cittadini, inoltre, lamenta la mancanza di supporto nel disbrigo di pratiche amministrative, per il rilascio ad esempio di protesi ed ausili, per la certificazione di invalidità civile ed handicap o per avere l’esenzione dal ticket.