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Editoriali

punto_2008-02-06

Ci sono molti fatti che ci autorizzano a definire quanto meno ‘bizzarra’ la crisi di governo che in queste settimane sta rapidamente portando allo scioglimento anticipato delle Camere. E, dunque, alle elezioni politiche in aprile, rinviando a data da destinarsi l’impegno a risolvere le numerose sfide che il Paese deve affrontare.
Tra questi fatti ne spicca uno particolarmente insolito.


Nel corso delle consultazioni condotte al solo ed unico scopo – indicato dal Presidente della Repubblica Napolitano – di costituire un governo istituzionale per l’approvazione di una nuova legge elettorale, il Presidente del Senato Marini ha voluto ascoltare anche le cosiddette ‘parti sociali’. Per la precisione, come si è letto nei comunicati ufficiali:  i ‘rappresentanti’ delle imprese (Confindustria, Confcommercio, Confcooperative, Confagricoltura, Confartigianato, Cna, Confesercenti, Legacoop e Casartigiani), i ‘rappresentanti’ dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil e Ugl), il Comitato per il referendum e un - non meglio identificato – Comitato per la legge elettorale.
Senz’altro una novità, se si pensa che, nella storia della Repubblica, le consultazioni per la costituzione di un nuovo governo si sono sempre esaurite nell’alveo delle segreterie dei partiti rappresentati in Parlamento. Ma una novità che dice molte e contraddittorie cose rispetto al tema tradizionale della rappresentanza.

Che cosa, in particolare?
In primo luogo, si conferma per l’ennesima volta la profonda crisi di rappresentanza e – si dovrebbe aggiungere - di reputazione dei partiti. Chi, infatti, avrebbe ancora oggi la spudoratezza di affermare che questi rappresentano i cittadini?
Secondo: si riconosce che, al di là dei partiti, esistono dei soggetti sociali che hanno qualcosa da dire in situazioni di crisi come questa che stiamo vivendo, almeno per il fatto di rappresentare alcuni interessi specifici.
Terzo: si selezionano i nuovi interlocutori secondo le superate logiche della concertazione. Forse in virtù della sua precedente attività, il presidente Marini si è ritrovato vittima di una vera e propria distorsione cognitiva. E così ha ridotto le consultazioni sul governo dell’intero Paese ad una specie di tavolo delle trattative tra istituzioni, imprese e sindacati, una triangolazione che è diventata obsoleta perfino quando ci si limiti a trattare di problemi economici o del lavoro perché dimentica, per esempio, il nuovo ruolo dei consumatori.
Quarto: nella consultazione è entrato anche un Comitato per la legge elettorale creato da un ex senatore (Franco Bassanini) al solo scopo di contestare l’iniziativa referendaria. Un soggetto – si direbbe – del tutto privo di ‘rappresentatività’. Utile solo per costituire un contraltare al Comitato referendario, che invece è supportato da 821 mila firme di cittadini italiani e può essere considerato “potere istituzionale” alla luce delle pronunce della Corte costituzionale.
Quinto e ultimo punto: in questo quadro diventano legittime tutte le domande circa la possibilità di allargare ulteriormente la platea dei ‘consultabili’ – tra questi, per esempio, le organizzazioni civiche - alla luce di criteri di rappresentanza più nuovi e aderenti allo sviluppo sociale e civile del Paese.
In conclusione: grande confusione regna nel mondo della politica, non soltanto incapace di governare i processi, ma anche di interpretare e cogliere le novità che vengono da una sfera pubblica assai più ampia del passato.

Anche questa vicenda, comunque, dimostra che il tema della rappresentanza è divenuto tra i più importanti nella vita delle democrazie contemporanee. Ovunque nel mondo, infatti, con buona pace degli improbabili tentativi di Franco Marini, i due significati di questo concetto – “agire per conto di” e “parlare a nome di” qualcun altro – suscitano questioni irrisolte.
Le assunzioni riguardanti l’ ”agire per conto di” sono messe in discussione da molti fenomeni, tra i quali la notevole diminuzione della partecipazione elettorale; l’indebolimento delle istituzioni rappresentative al livello nazionale; il rafforzamento di istituzioni che non sono né nominate dalla cittadinanza né responsabili delle proprie azioni; l’emergere di attori privati e sociali che hanno una profonda influenza sulla vita pubblica pur non avendo alcuna legittimazione formale.
Le istituzioni pubbliche stanno perdendo la loro capacità di ‘rendere visibile’ la società come un tutto, di conoscere e far emergere le condizioni e i bisogni di parti rilevanti della popolazione. La sfiducia dei cittadini verso i loro leader politici lo dimostra ulteriormente.

Bisogna dire, allo stesso tempo, che le organizzazioni civiche, benché differenti quanto a natura, dimensioni e campi di azione, sono tutte chiamate in causa dalla crisi della rappresentanza. Il loro sviluppo, avvenuto in tutto il mondo negli ultimi trent’anni, pone molte domande che ancora non trovano risposte adeguate: basti pensare alla vicenda del Forum del Terzo settore che in Italia cerca invano da alcuni anni di qualificarsi come rappresentanza organizzata degli interessi delle organizzazioni non profit senza apprezzabili risultati e con tante contraddizioni.
Resta il fatto che le organizzazioni di cittadini tutelano – spesso con successo – i diritti e le richieste di soggetti che non sono riconosciuti dagli stati e dai loro programmi e partecipano, in vario modo, alla realizzazione delle politiche pubbliche. Sicché esse esercitano, spesso in modo efficace, un ruolo che era, in teoria, di esclusiva competenza delle istituzioni rappresentative, dei partiti politici e delle ‘parti sociali’ (sindacati e associazioni imprenditoriali).
Si può affermare, in sintesi, che le organizzazioni civiche sono, da una parte, uno dei frutti della più generale crisi di rappresentanza e, dall’altra, una delle risposte a questa crisi.
In entrambi i sensi, la questione della rappresentatività delle organizzazioni di cittadini è di importanza vitale, ma è anche sottostimata, o trattata utilizzando strumenti obsoleti o inadeguati.
Questo problema è profondamente radicato nella realtà. Le organizzazioni civiche possono infatti avere differenti posizioni sulla questione della rappresentatività e possono essere rappresentative in modi molto diversi. Ad esempio, non si può negare che le organizzazioni di consumatori, di advocacy e di tutela dell’ambiente non rappresentino più soltanto i loro membri, ma anche larghi settori della società o la società nel suo insieme. Viceversa, anche un piccola associazione di volontari che si prende carico delle persone anziane o dei malati terminali o dei senza fissa dimora, rappresenta qualcosa di più dei suoi membri per il semplice fatto che protegge minoranze deboli e gruppi i cui diritti e interessi sono di interesse pubblico.
Nel caso delle organizzazioni di cittadini, il verbo ‘rappresentare’ può quindi essere riferito a molti oggetti differenti. Ecco perché gli usuali criteri meramente quantitativi (“Quanti siete?”), utilizzati tradizionalmente per pesare l’importanza dei partiti politici e dei sindacati, non si adattano alle organizzazioni di cittadini, per quanto siano i più semplici da utilizzare perché non implicano l’esercizio di alcuna responsabilità.

Proprio per cercare di orientarsi tra questi problemi, Fondaca e Cittadinanzattiva promuovono un Forum di discussione sul tema “Rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni di cittadini: una questione irrisolvibile?”. Il Forum si svolgerà a Roma, il prossimo 13 febbraio, presso il salone Marco Aurelio della RAS, in via del Corso 184, con orario 9,30-18,00. Non fate mancare il vostro contributo!

Vittorino Ferla
Responsabile Ufficio Relazioni istituzionali di Cittadinanzattiva

Redazione Online

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