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Editoriali

Il dibattito pubblico del nostro paese è occupato, o meglio infestato, di parole magiche. Si tratta di parole pubbliche che vengono continuamente evocate e ripetute senza chiarire precisamente di che cosa si sta parlando e perché si attribuisce un particolare significato a un’azione, a un soggetto o a uno stato di fatto che esse denotano. A guardarle con attenzione, però, queste parole risultano confuse, vaghe quanto a significato e al rapporto con la “cosa” a cui si riferiscono, deboli dal punto di vista logico e concettuale. Malgrado questo, o forse proprio per questo, esse vengono utilizzate per dare o togliere valore, importanza e rilievo sociale a fatti, azioni e circostanze. Anche quando, a guardare meglio, non c’è proprio nessuna ragione che lo giustifichi.

La democrazia non vive solo di cose che si fanno – e che sono della massima importanza – ma anche di parole, discorsi, tematizzazioni, definizioni di priorità. La sfera pubblica è, per l’appunto, quel luogo costitutivo della democrazia in cui i cittadini si incontrano, dibattono questioni pubbliche, scambiano o modificano le proprie idee convergendo o divergendo, generano rappresentazioni collettive, danno giudizi e valutazioni; e in questo modo contribuiscono a dare forma alla vita pubblica e a orientare la comunità politica verso strategie e visioni connesse all’interesse generale. Quando il materiale con cui tutto ciò avviene è difettoso, la democrazia è più debole.

Ci sono molte parole pubbliche che sono diventate magiche, nel nostro paese. Però quelle che tratteremo a L’Aquila – politica, potere, rappresentanza, partecipazione, volontariato, cittadinanza attiva – hanno una particolare importanza perché investono direttamente la possibilità che nella nostra democrazia i cittadini contino davvero e a ciò che essi fanno venga riconosciuto un valore generale. Che questo sforzo di restituzione del loro significato a parole pubbliche avvenga nel Festival della partecipazione non può essere sottovalutato in nessun modo: significa che i cittadini si riprendono strumenti fondamentali della loro vita in comune.

Giovanni Moro

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