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Editoriali

Il 5 febbraio, la legge n. 91 che disciplina l’acquisto della cittadinanza italiana compie 30 anni.

Una legge che già 30 anni fa nasceva vecchia, perché rivolta al passato dell’Italia degli emigranti, scegliendo di privilegiare, tra i modi di acquisto della cittadinanza, il principio della discendenza (ius sanguinis) a discapito dei criteri legati alla nascita o alla stabile residenza nel paese.

Una legge priva di visione, perché incapace di leggere allora i segnali dei profondi cambiamenti sociali, demografici, economici e culturali di un paese destinato a diventare, nel giro di pochi anni, meta principale dei flussi migratori verso l’Europa.

Una legge che oggi è un vero e proprio anacronismo, perché totalmente scollata dalla realtà, perché tra le più rigide nel contesto europeo, perché discrimina centinaia di migliaia di “italiani di fatto”, privandoli dello status di cittadino, a cominciare dai minori nati e cresciuti in Italia, che sono oltre un milione.

Tutti i giorni, assieme al Movimento Italiani Senza Cittadinanza ci occupiamo della condizione di chi vive come straniero nel proprio paese, di chi è alle prese con il lungo e farraginoso iter di accesso alla cittadinanza, di chi è escluso dalla possibilità di richiederla, pur essendo di fatto italiano. Lo facciamo con la campagna Obiettivo Cittadinanza che vuole dare un volto e una voce alle persone che condividono storie e percorsi di vita, si informano sui propri diritti, mettono a disposizione la propria esperienza.

Oggi, il trentennale della legge 91/92 è l’occasione per tornare a parlare di cittadinanza, richiamare l’attenzione di tutti, istituzioni e cittadini, sulla necessità e l’urgenza di riformare la legge.

Laura Liberto

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