L'inizio della serie "Crimini bianchi" ha scatenato un putiferio nel mondo medico. E questo è avvenuto anche prima che la puntata fosse messa in onda. Come è noto, "Crimini bianchi" è un format di Canale 5 che parla della cosiddetta "malasanità" e che racconta in 12 episodi il lavoro di un'associazione per i diritti del malato, costituita da un avvocato e da un gruppo di medici, a seguito della morte in ospedale di un amico, anche lui medico, per errore.
La serie si ispira al Tribunale per i diritti del malato e Cittadinanzattiva ha fornito materiale e consulenza per la realizzazione delle puntate. L'ispirazione è libera in quanto ci sono almeno due macroscopiche differenze rispetto alla storia vera: il Tribunale fu fondato da cittadini e non da medici e non ha mai avuto come attività prevalente la tutela legale. Detto questo, lo spirito, le motivazioni, le storie riflettono moltissimo di quella storia ed è per questo che abbiamo accettato di comparire in modo molto evidente nei titoli di coda.
Ciò che colpisce molto delle polemiche suscitate è la generale condanna dell'idea da parte della classe medica e non solo dei settori più corporativi, ma anche di tante singole persone dedite con passione al loro lavoro e ben lontane dai personaggi raffigurati nella fiction. È come se certi argomenti fossero tabù a priori, perché parlarne alimenta i conflitti e sviluppa la medicina difensiva.
Ritengo che questo sia un atteggiamento sbagliato, che fa arretrare il nostro paese di anni ricompattando una categoria, dove invece esistono molti distinguo e molte differenze, e spiego perché.
Innanzitutto perché la gran parte dei medici nella serie fanno una gran bella figura. Sono loro che si battono per raccogliere informazioni, che condannano i loro colleghi inadempienti, che non hanno timore di dire la verità. E quindi perché avere paura? C'è da essere orgogliosi che si sia rotta l'omertà che trent'anni fa, alle nostre origini, era assolutamente compatta e inossidabile.
In secondo luogo, perché le denunce dei cittadini ci sono e sono in aumento. Ci si può schermare dicendo che spesso non si arriva ad una condanna e che ci sono "i furbi", come si sente dire in molte trasmissioni televisive, ma non si dice la verità. Gli errori ci sono, non sono superiori a quelli compiuti in altri paesi europei, ma i cittadini sono sospettosi e vogliono sapere la verità. Sono pochi i procedimenti che vanno a buon fine? Non c'è da stupirsi: dimostrare in tribunale l'esistenza di un errore è difficilissimo e la giustizia funziona malissimo. Poi è ampiamente dimostrato che, dove i pazienti sono accolti, ascoltati e curati con attenzione, le denunce sono poche perché c'è la fiducia.
Allora perché non approfittare della circostanza di una fiction televisiva per fare un salto di qualità nella lotta agli errori? Gli strumenti ci sono: la formazione, la valutazione, il risk management, la selezione per merito. Manca troppo spesso la volontà.
Sarebbe bello che in Italia nascesse una associazione di professionisti medici a supporto di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, a supporto cioè dei cittadini, per combattere insieme la battaglia contro l'errore. Sarebbe ben più interessante della presenza di associazioni che nascono per difendere i medici dai cittadini cattivi.
Teresa petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva