L’allarme nel campo della ginecologia ha ormai assunto dimensioni nazionali, che mettono fortemente in discussione la fiducia nel personale e nelle strutture. Le storie sono tante, tutte diverse, ma la rabbia che scatenano è la stessa. Bambini nati con gravi lesioni, mamme che perdono la vita o che, nella migliore delle ipotesi, non potranno più avere gravidanze, fino al caso di medici privati che entrano in conflitto con medici ospedalieri e litigano violentemente in sala parto.
Ma non eravamo il Paese più sicuro al mondo in cui partorire?La verità è che nessuno ha preso sul serio quello che da anni denunciamo: troppi parti cesarei realizzati non per motivi clinici, ma perché programmabili e meglio remunerati, eppure con più rischi per la mamma; visite private che aprono le porte ai ricoveri in ospedale, poca separazione tra pubblico e privato e poca trasparenza, soprattutto nella gestione dell’intramoenia.
Tutto questo aumenta in modo non sano la competizione tra i medici, anche se è raro vederli litigare come è accaduto al Policlinico di Messina.
Per questo è giusto che la vicenda siciliana sia stata affrontata anche sotto il profilo dei comportamenti e della professionalità e che siano state applicate sanzioni esemplari.
Ma le sole sanzioni cancelleranno quello che è accaduto? incideranno sul sistema? cambieranno i comportamenti? Certamente no, è un problema di sistema. Ed è prioritario garantire ovunque in Italia punti nascita sicuri, accoglienti, umani e di qualità.
Non dimentichiamo la Calabria, dove la sanità è al palo. Qui è necessario rivoluzionare il sistema, sanare i conti, migliorare l’organizzazione, aumentare i controlli e coinvolgere le organizzazioni civiche, ricetta che in altre realtà regionali, come ad esempio la Sicilia, sta dando i primi frutti. Non possiamo più contare le vittime della sanità calabrese e accontentarci di eventuali risarcimenti ai familiari: è inaccettabile.
Francesca Moccia
Coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato