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inceneritori

Bruciano i rifiuti, e con loro la nostra speranza di cambiamento verso un ambiente più rispettato, un’aria più salubre, una presa di coscienza della necessità di cambiare modelli di consumo, di imballaggio e di raccolta e differenziazione dei rifiuti urbani. E’ il pensiero che a molti di noi è balenato in questi giorni, dopo le recenti dichiarazioni di esponenti autorevoli del Governo della necessità di investire su questa prospettiva di “incendio” dei rifiuti. Prospettiva, fortunatamente mi permetto di dire, al momento oscurata da una valanga di reazioni negative sia sulle piattaforme social che da una alzata di scudi politica.

Occorre anzitutto fare un piccolo passo indietro, cercando di spiegare con semplicità cosa siano termovalorizzatori e inceneritori, partendo da questi ultimi. Gli inceneritori, considerati oramai una tecnologia vetusta, sono luoghi in cui si bruciano i rifiuti indifferenziati a alta temperatura, la cui combustione immette nell’aria enormi quantità di inquinanti nocivi (diossine, furani, pm10, pm2.5, particolato ultrafine), e residui altamente inquinanti la (ceneri e polveri) la cui gestione chiede ulteriori spese perché se dispersi rappresenterebbero una vera e propria bomba ambientale.  L'incenerimento dei rifiuti produce scorie solide pari circa al 10-12% in volume e 15-20% in peso dei rifiuti introdotti, e in più ceneri per il 5%. Con enormi costi in termini di gestione in discariche specializzate.

I termovalorizzatori, o inceneritori di rifiuti con recupero energetico, sono una evoluzione dell’inceneritore. Grazie alla captazione e riutilizzo dei vapori essi sono infatti in grado di generare energia dalla combustione, e fornire così una fonte di calore utilizzabile per la produzione di energia o di riscaldamento. Grazie ad un progresso nella qualità dei filtri, sono ridotte a quasi zero le diossine disperse, mentre aumentano enormemente le nanoparticelle immesse nell’atmosfera, così piccole da non sapere ancora come trattarle, motivo per cui non è neanche normata la loro gestione. Ma che possono rappresentare un rischio per patologie croniche, cancro ai polmoni, malattie delle vie respiratorie, enfisemi. Anche se possono essere enormemente ridotti i residui fisici, attraverso una ulteriore loro analisi e differenziazione.

In questo quadro, è importante evidenziare come già nel 2008 questo tipo di gestione sia stata indicata dalla UE come quarto livello possibile all’interno di un quadro che dovrebbe anzitutto prediligere la prevenzione, preparazione per il riutilizzo, recupero di materia. Indirizzo ulteriormente rafforzato poi dalla Comunicazione della Commissione Europea del 26/1/17, in cui si sottolinea proprio l’incongruenza della costruzione dei termovalorizzatori alla luce del progressivo e crescente investimento deciso su riduzione, riuso e riciclo. Con obiettivi fissati per il 2030 di arrivare all’80% di differenziata e al 65% di materiali effettivamente riciclati. Così come è importante ricordare che dal momento in cui si dà il via ai lavori di costruzione di un impianto, occorreranno almeno 8-9 anni per la sua entrata in funzione. E che perché ogni impianto funzioni e sia efficiente, è necessario produrre rifiuti in quantità necessaria a “nutrirlo”, a renderlo economicamente sostenibile e energeticamente interessante per la quantità di energia prodotta. Ulteriori studi dimostrano che bruciando 1 tonnellata di plastica si ottiene energia pari a 6957 BTU, riciclandola e recuperandola 37781 BTU (J. Morris, D. Canzonieri , "Recycling versus incineration. An Energy conservation Analisys”, Seattle, USA).

Noi di Cittadinanzattiva ci siamo più volte espressi a favore, e avviato attività di sensibilizzazione per una politica “zero rifiuti”, cioè di azioni che puntino necessariamente alla riduzione alla fonte di imballaggi plastici e materiali inquinanti e non riutilizzabili, al riuso e al riciclo, al fine di realizzare un circuito virtuoso circolare in cui si produce sempre meno rifiuto, ambendo appunto allo “zero rifiuti”.

La soluzione della termovalorizzazione, alla luce di quanto detto, non è quindi una vera soluzione, ma solo l’ennesimo ritorno al passato. Fatto di gas inquinanti, di nanoparticelle di cui ancora non si comprendono fino in fondo gli effetti negativi sullo stato di salute, di minore interesse per il futuro del pianeta e di noi tutti. Certo, bella l’immagine che quasi tutti i nostri media hanno pubblicato in questi giorni del termovalorizzatore di Amager Bakke di Copenhagen. Certamente una bella opera architettonica, con addirittura una pista da sci sul tetto, un arricchimento dello skyline cittadino. Adesso però, a parte la bellezza, siamo sicuri che gli amici danesi siano proprio felici di respirare nanoparticelle? E sapete che mentre nella città differenziazione e riciclo prendevano piede, il termovalorizzatore entrava in crisi economica per mancanza di spazzatura da bruciare? Tanto da doverne importare dalla Gran Bretagna, ma sempre in quantità non sufficienti per garantire la sostenibilità dell’impianto, tanto da costringere l’azienda pubblica che lo possiede a due tentativi di piani di ristrutturazione economica. Il primo già fallito, il secondo ancora in attesa di risultati positivi. A proposito, la costruzione è costata 670 milioni di dollari, quello di Acerra 360 milioni di Euro. E non dimentichiamoci che ogni anno, attraverso le nostre bollette energetiche, contribuiamo direttamente ai bilanci delle aziende che gestiscono inceneritori con oltre 500 milioni di euro (https://youtu.be/uG-yqNKm7mc).   

E a proposito dei presunti benefici della termovalorizzazione vi invito anche a leggere quanto scritto da Medicina Democratica sulla base delle ricerche più recenti.

E visto che ho citato Acerra, credo che valga la pena guardare un video testimonianza di Walter Ganapini, ambientalista, docente, scienziato membro Onorario del Comitato Scientifico dell'Agenzia europea dell'ambiente, in cui ripercorre la storia della grande “emergenza” rifiuti vissuta a Napoli qualche anno fa, e quanto si nascondeva dietro. Una verità che riguarda sì la Campania, ma che dovrebbe invitarci a ragionare sulle tante emergenze e sulle soluzioni, semplici e costosissime in termini economici e sociali, che vengono continuamente riproposte. Certo, resta il problema attuale della gestione dei rifiuti che vengono ancora prodotti in quantità, e il problema non può e non deve essere nascosto. Ma certamente, saperne di più ci aiuta anche a capire gli effetti reali delle scelte, e quello che potremo attenderci dal futuro.

Alessandro Cossu

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