L’Italia è il secondo trasformatore e conservatore mondiale di pomodoro dopo gli Stati Uniti, in termini di quantità di prodotti freschi trasformati. Ma non è tutto oro quello che luccica. In Basilicata e in Campania, dove si è scelto di produrre Funky Tomato, come in altre zone del sud Italia, l’intera filiera del pomodoro coinvolge migliaia di agricoltori e un centinaio di stabilimenti di trasformazione, per un giro d’affari annuo compreso tra 1,5 e 2 miliardi di euro. Da Palazzo San Gervasio e Venosa in Basilicata alla Piana del Sele a Castel Volturno migliaia di braccianti provenienti dall’Africa e dall’Est Europa ripopolano le campagne. Caporalato, pagamento a cottimo (3,5 euro per un cassone di pomodori da 300Kg), irregolarità contrattuali. Queste le forme di reclutamento e di lavoro dei nuovi braccianti.
in queste terre nasce, in pochi ettari fra Campania e Basilicata, nasce Funky Tomato che, nel 2015 ha prodotto circa 180 quintali di pomodori e circa 18.000 vasetti di conserve. Tutto senza avere capitali iniziali. La produzione è partita grazie al coinvolgimento del consumatore: «Circa 12.000 vasetti sono stati pre-acquistati a un costo minore da ristoranti, gruppi di acquisto solidale, botteghe, associazioni. I ricavi delle vendite (circa 40.000 euro) sono stati utilizzati per pagare le spese, per remunerare il lavoro degli agricoltori che hanno prodotto i pomodori, per pagare l’affitto e le spese del laboratorio. Ma soprattutto per assumere regolarmente quattro persone, impiegate nella lavorazione, raccolta e trasformazione del pomodoro, per più di due mesi».
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