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A pochi giorni di distanza dalle conclusioni della perizia medico-legale, disposta dal Gip che ha individuato come causa più probabile del decesso di Stefano Cucchi l'epilessia, escludendo un nesso tra il pestaggio (attribuito ad alcuni carabinieri) e la morte del giovane, è la terza Corte d'assise d'appello di Roma a tornare sulla vicenda. Si tratta dell'esito del nuovo giudizio di secondo grado, sollecitato dalla Cassazione, affinché si accertasse l'operato di chi aveva avuto in cura Cucchi. Le motivazioni della sentenza, depositate, spiegano perché il 18 luglio scorso sono stati assolti dall'accusa di concorso in omicidio colposo i cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini: per la Corte gli imputati hanno colposamente omesso di diagnosticare la sindrome da inanizione da cui il paziente era affetto, di inquadrare il caso nelle sue linee generali e, conseguentemente, di attuare i presidi terapeutici necessari, ma il decesso non sarebbe dipeso dal loro operato.

Stefano, quindi, non si sarebbe comunque salvato, nonostante le colpe dei medici. Una sentenza che fa discutere, una situazione paradossale, evidenziata anche da Cittadinanzattiva, costituitasi parte civile nel processo: da un lato una sentenza che afferma che Cucchi è morto per inanizione, dall’altro una perizia che invece sostiene che la causa della morte è l'epilessia oppure la vescica neurologica. Immediata la reazione della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che rivolge un appello diretto al presidente di Anm e al Csm per sapere se considerano “fisiologico" l'andamento del processo.

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Valentina Ceccarelli

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