Curarsi non è più solo un problemi di soldi. Il cittadino, soprattutto se affetto da una malattia cronica o rara, non solo ricorre al suo portafogli - sempre più ristretto - per far fronte ai tagli e alle carenze dell’assistenza socio-sanitaria pubblica, ma, sempre più spesso, è costretto anche a rinunciare a permessi di malattia o addirittura a “nascondere” la propria patologia per conservare il posto di lavoro.
Il commento al XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo "Permesso di cura", che il 13 dicembre Cittadinanzattiva-Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) presenta presso la Sala della Mercede della Camera dei Deputati.è pubblicato nel numero in edicola del settimanale Il Salvagente.
Le famiglie italiane sono sempre più povere, come confermano i dati ISTAT relativi al 2012: il 12,7% è relativamente povero ed il 6,8% lo è in termini assoluti, cioè al limite della sopravvivenza.
Mantenere il posto di lavoro diventa essenziale, ma talvolta inconciliabile con la necessità di assistere un familiare malato, visto che spesso è difficile accedere ai permessi della legge 104/92, come attesta il 60% delle Associazioni aderenti al CnAMC. Per questo secondo il 49% di esse i pazienti evitano di prendere permessi per cura, per il 43% nascondono la propria patologia e per il 40% si accontentano di eseguire un lavoro non adatto alla propria condizione lavorativa. Anche perché l’assistenza costa: si spendono in media 1585 euro all’anno per tutto ciò che serve alla c.d. prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3711 euro l’anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Chi non può pagare (secondo l‘80% delle Associazioni) rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati, alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non presenti nel nomenclatore.
Piuttosto che spremere chi è già allo stremo, bisognerebbe mettere mano alle riforme. A partire da una revisione dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), fermi da più di dieci anni, e lavorare ad una reale riorganizzazione dei servizi socio-sanitari territoriali e al raccordo ospedale-territorio, coinvolgendo i pazienti e le associazioni che li rappresentano.
Maria Teresa Bressi, Curatrice del XII Rapporto CnAMC-Cittadinanzattiva