Mercoledì 27 settembre 2017, ad Acqui, presso la sala ex Kaimano, con la presenza di oltre 100 persone, è iniziato il percorso regionale “Dalla sanità visibile alla sanità invisibile: grandi rischi e grandi opportunità; quale ruolo per le comunità locali?” promosso da Cittadinanzattiva. L’iniziativa vuole verificare, in tutta la regione, l’effettiva esistenza (o almeno la programmazione) dei nuovi servizi territoriali, che dovrebbero compensare la riduzione della rete ospedaliera e, possibilmente, migliorare la cura e l’assistenza, per scongiurare il rischio che tali servizi poco visibili siano anche poco esigibili e, alla fine, inesistenti.
“La scelta di partire da Acqui – ha spiegato Giorgio Pizzorni, coordinatore territoriale di Cittadinanzattiva – viene dal fatto che questo è un territorio particolarmente disagiato che non ha ancora visto compensazioni adeguate alla riduzione della attività ospedaliera”, L’iniziativa, quindi, è stata promossa insieme ad altre organizzazioni civiche (Gruppo associazioni di volontariato di Acqui Terme, Coordinamento delle associazioni delle persone con diabete, Associazione piemontese dei malati reumatici, Confederazione italiana agricoltori, PENSA e GVA), con il patrocinio dalla regione Piemonte, di ANCI, Federsanità e del comune di Acqui Terme. L’avv. Alessandra Terzolo, assessore all’assistenza, nel proprio saluto ha precisato che il ricorso al TAR contro i provvedimenti sugli ospedali non sarà ritirato ma che ciò non deve impedire la collaborazione con la ASL sui servizi territoriali.
Dopo l’introduzione generale del dott. Tangolo, dell’Università di Torino, che ha illustrato i nuovi problemi e i nuovi orientamenti dei servizi sanitari, Mara Scagni, presidente regionale di Cittadinanzattiva ha interrogato il direttore generale della ASL, Gilberto Gentili - assistito dal direttore sanitario e dai direttori dei quattro distretti della provincia – sui problemi cruciali del territorio acquese.
Il direttore ha preso importanti impegni concreti come: l’attivazione entro l’inverno di 20 posti letto di continuità assistenziale per garantire le dimissioni tempestive e protette dagli ospedali nell’ambito del distretto evitando le attuali lunghe trasferte, la completa integrazione del distretto nella rete oncologica regionale che sarà integrata con le cure palliative, la permanenza del servizio di diabetologia, la ristrutturazione del sito aziendale come strumento di concreta comunicazione con i cittadini, la messa a punto, a partire dal mese di marzo, di percorsi organizzati e domiciliari per la broncopatia cronica, il diabete e lo scompenso cardiaco, il parziale rinnovo della strumentazione informatica. Altre questioni restano aperte e in attesa di soluzione, come il funzionamento del CUP telefonico, i tempi di fornitura di alcuni presidi ai malati assistiti a domicilio, l’organizzazione della medicina di famiglia (in attesa del contratto nazionale, la carenza di pediatri, l’integrazione dei servizi di emergenza.
Nel dibattito sono intervenuti rappresentanti dell’Ordine dei medici, del collegio degli infermieri e del volontariato e sono emersi nuovi temi. Il presidente della Commissione sanità del Consiglio regionale, Domenico Ravetti, ha sottolineato la necessità di liberare il dibattito locale dalle strumentalizzazioni che finora hanno compromesso una efficace programmazione.
In un clima di grande concretezza sono comunque emerse almeno quattro questioni di portata generale. La prima riguarda l’arretratezza e la mancata integrazione dei sistemi informatici aziendali e regionali, che impedisce di fare cose essenziali - come la possibilità di tenere in costante comunicazione i centri dell’emergenza urgenza, di trasmettere gli esami diagnostici, di fare teleconsulti e di tenere in contatto medici di famiglia, specialisti ma anche di prenotare telefonicamente - per la salute e per la vita stessa dei cittadini. La questione deve essere considerata una vera e propria emergenza sanitaria.
Una seconda questione nasce dalla caratteristiche del territorio che rendono spesso difficile l’accesso ai servizi. E’ un problema di cui si deve tenere conto son progetti adeguati ma anche, forse, rendendo meno rigida l’assegnazione dei centri di riferimento per le patologie. In certe condizioni e bene informati i malati dovrebbero potere decidere di accedere a determinate prestazioni in luoghi più vicini senza essere costretti a trasferte difficili e costose.
La terza riguarda la nuova organizzazione della medicina generale. In territori come quelli di Acqui e Ovada, concentrare i professionisti in poche strutture (le cosiddette Unità complesse di cure primarie) per garantire la continuità delle prestazioni potrebbe avere l’effetto di lasciare sguarniti i centri minori. Sembrerebbe più opportuno pensare a integrazioni di natura organizzativa fra gruppi che condividono strumenti informatici valorizzando la figura degli infermieri di comunità e favorendo l’accesso dei medici di famiglia alle Case della salute e agli stessi ospedali. Sarebbe necessario a questo proposito aprire rapidamente un dibattito fra Asl, professionisti, enti locali e organizzazioni civiche.
L’ultima questione riguarda la costruzione dei percorsi organizzati per i malati cronici. Qui è indispensabile che nella loro costruzione sia costantemente rappresentato il punto di vista dei malati per garantire l’effettiva accessibilità e la personalizzazione delle cure. Esistono a questo proposito strumenti collaudati, come le Consensus conference che devono essere obbligatoriamente impiegati, valorizzando l’apporto dei “pazienti esperti” e cioè dei malati cronici che hanno esperienze pluriennali di gestione di più patologie.
In conclusione, l’incontro ha confermato che per prevenire il tracollo del servizio sanitario bisogna nuovamente investire per garantire i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), costruire un sistema basato sulla effettiva centralità del malato garantendo una forte collaborazione fra tutti i soggetti. Le opportunità esistono: nel livello regionale Cittadinanzattiva sta lavorando a protocolli di intesa con ANCI; Federsanità, Ipasvi e con varie società scientifica, nel livello locali si devono costruire i piani di coesione sociale e si possono costruire sedi agili di confronto e di verifica. L’importante è uscire dai recinti. La collaborazione fra le organizzazioni acquesi che hanno promosso l’iniziativa, i patrocini ricevuti e la partecipazione al dibattito sono state un buon augurio. Ora si deve proseguire.
Alessio Terzi – Segretario Regionale di Cittadinanzattiva
Giorgio Pizzorni – Coordinatore Assemblea di Cittadinanzattiva Acqui Terme-Ovada