L'informazione attraversa in tutto il mondo una condizione drammatica ed esaltante allo stesso tempo: esaltante, per la moltiplicazione di contenuti informativi, di soggetti che li forniscono e divulgano, e di mezzi tecnologici per crearli, diffonderli ed accedervi; drammatica, per la crisi dei tradizionali modelli editoriali, dall'informazione cartacea a quella radiotelevisiva. Purtroppo si tende ad affrontare il tema solo da un lato o dall'altro della questione, con divergenze e contrapposizioni: i giornalisti professionisti rivendicano che preparazione, formazione continua, deontologia, tutela del trattamento economico, garantiscono una qualità dell'informazione contro disinformazione, fake news e hate speech; chi invece opera fuori dal contesto giornalistico ufficiale, cerca un riconoscimento per proporre come informazione, e controinformazione, notizie, argomenti, opinioni indipendenti. I primi si chiudono in un atteggiamento difensivo, a volte anche corporativo, e i secondi alimentano sentimenti di sfiducia nella credibilità della stampa, vista come casta.
Come documentato di recente anche in questa newsletter (Edoardo Rinaldi, “La disinformazione online resta una minaccia”, 18 aprile 2019), la risposta contro la disinformazione sembra riproporre obblighi di registrazione e di iscrizione ad ordini. Ma si tratta di una risposta regressiva, contraria all’idea di una cittadinanza attiva nell’informazione. Quella che invece abbiamo in mente è una nuova socializzazione della libertà d’informazione, insieme ad una socializzazione dei principi di etica e diritto della comunicazione. È necessario costruire un nuovo patto tra professionismo e non professionismo dell’informazione, senza alimentare da un lato misure repressive, dall’altro atteggiamenti di populismo antigiornalistico. Bisogna valorizzare in forme giuridiche nuove la sterminata produzione di contenuti informativi e mediatici fatta anche al di fuori dei circuiti professionistici, coniugando tale riconoscimento all’adesione volontaria alle deontologie informative professionali, affinché i principi di una corretta comunicazione non restino chiusi nel recinto di un ordine professionale o di consigli di disciplina. Sostenere che il diritto alla libertà informativa sia un diritto di tutti, implica che lo siano anche i doveri: doveri intesi come modelli alternativi di comunicazione e informazione, non come strumenti censori o repressivi. Miriamo ad accrescere i soggetti del giornalismo di qualità, non a restringerli.
Proviamo quindi a lanciare una proposta in uno spirito di cittadinanza attiva: vorremmo creare un'associazione capace di rivolgersi a tutti coloro che manifestano il proprio pensiero, con ogni mezzo tecnologico a disposizione, per promuovere una cultura pubblica del diritto e dell’etica della comunicazione. E vorremmo tentare questa operazione riconoscendo uno statuto di professionalità informativa anche ai non professionisti dell’informazione. Chiunque produca e diffonda contenuti testuali-audio-visivi deve fare propri i valori del pluralismo, dell'obiettività, della completezza, dell'imparzialità, dell'apertura alla realtà. Queste idee non sono una gabbia alla libertà d'espressione, ma categorie di un modo molto più ricco di fare informazione oggi. Libertà di informazione non può essere chiusura nell'unilateralismo, nella tendenziosità, nell'omissione, nella parzialità, nel più gretto soggettivismo. A chi condivida e metta in pratica questi principi, quale che sia il medium utilizzato, bisogna riconoscere un valore pubblicistico e una dignità d'informazione, piuttosto che farlo incorrere nella minaccia dell’«esercizio abusivo della professione giornalistica». Trovare gli strumenti, e le forme tecniche e giuridiche più adatte per questo riconoscimento, sarà l’obiettivo della nuova associazione.
Invitiamo quindi i lettori a manifestare il proprio eventuale interesse a partecipare ad un seminario su questi temi, che si terrà a Roma nelle prossime settimane, e che sarà il momento costitutivo dell’associazione qui delineata.
Felice Blasi