Cittadinanzattiva, che ha raccolto 60mila firme per promuovere il referendum elettorale, esprime grande soddisfazione per la pronuncia della Consulta sui referendum.
"Non si tratta di conservare il passato ma di realizzare le sue speranze"
Cittadinanzattiva si avvia a celebrare il suo Congresso nazionale, che si terrà nell’autunno del 2008. Il Congresso si tiene proprio nell’anno in cui Cittadinanzattiva compie 30 anni: sarà quindi un’occasione per riflettere sulla storia e sul significato di questa organizzazione; nello stesso tempo si svolge in un’epoca in cui è forte l’esigenza di realizzare un cambiamento che permetta a quella storia di misurarsi con l’attualità e di produrre i suoi frutti.
Alla luce di questa premessa, sento il bisogno di fare una riflessione e di lanciare una sfida: la riflessione riguarda, ancora una volta, il tema della rilevanza della società civile; la sfida è a Cittadinanzattiva perché accetti di misurarsi coraggiosamente con la grande rabbia dei cittadini.
La rilevanza della società civile. Giovanni Moro nella copertina del suo libro Anni settanta cita: “E’ stato il decennio della partecipazione civile e delle riforme, ma anche quello delle vittime e dei carnefici. Oltre al silenzio e la nostalgia, l’esito di quegli anni è alla radice di un male italiano: la nostra condizione di democrazia in condominio tra partiti senza fiducia e cittadini senza rilevanza”. Noi viviamo tutt’oggi questa condizione. Esiste un problema di chiave di lettura, di legittimazione e di riconoscimento. Anche se la partitocrazia ha prodotto danni incalcolabili al Paese e non gode della fiducia dei cittadini, esiste un meccanismo per cui chi fa le trattative per ridurre il peso di 3.500.000 mutui all’ABI o chi mobilita 10.000 scuole sulla sicurezza o ancora chi ottiene migliaia di cambiamenti nell’organizzazione degli ospedali resta fuori dall’arena della politica. È un problema che riguarda l’intero mondo dell’attivismo civico, ma che deve essere affrontato con serietà perché una nuova classe dirigente per nascere, essere visibile, rappresentare i cittadini, incidere sugli assetti del Paese, ha bisogno di superare questa inferiorità politica che non è più, come un tempo, un’autolimitazione di campo prodotta dallo stesso mondo dell’associazionismo civico, ma corrisponde purtroppo ad una precisa strategia degli avversari per non vedersi scalzati dalle loro rendite di posizione.
Uno dei nostri compiti storici è quello di costruire una democrazia pluralistica con diversi centri di potere, trasparenti ed effettivi. Se così fosse, pensate che sarebbe così difficile licenziare un dipendente pubblico parassita o così facile fare man bassa delle risorse per i rifiuti in Campania? Il dibattito sulla riforma elettorale sarebbe cosi asfittico ed inter nos se la posta in gioco fosse il diritto al voto dei cittadini? Molto spesso ci sentiamo impotenti o incapaci di fronte a questi problemi quasi che si trattasse di una colpa o di una mancanza: invece, il problema di fondo è politico e riguarda i rapporti di forza nella nostra società e il ruolo dei cittadini nella sfera pubblica.
Lo sbocco della rabbia. Il livello di fiducia dei cittadini nei confronti della classe politica e del futuro che essa prospetta loro, ha raggiunto minimi storici. Mai come in questo periodo si è manifestato in maniera così evidente il desiderio di cambiamento degli italiani, soprattutto delle giovani generazioni. Milioni di persone hanno partecipato, in modo più o meno attivo, ad eventi o fenomeni diversi: dall’acquisto de “La casta” alle primarie del PD, dalla partecipazione alle manifestazioni di Beppe Grillo all’ascolto delle inchieste della Gabanelli. Anche a manifestazioni di partito – vedi AN e Sinistra democratica – erano presenti decine di migliaia di persone. Il problema è lo sbocco della rabbia. Che succede quando si torna a casa? Lo stesso partito democratico, che è sicuramente un tentativo interessante di riaggregazione e rinnovamento del quadro politico, non è un modo per dare risposta a questo malessere, anche perché resta dentro il sistema politico e poco ha a che vedere con la partecipazione civica. Credo che Cittadinanzattiva, proprio alla luce della concretezza della sua storia, abbia un ruolo che deve giocare con coraggio e determinazione.
Noi, con le nostre idee e la nostra concretezza, possiamo essere uno degli sbocchi di questa voglia di cambiare. Potrebbe valer la pena di usare i prossimi anni per conseguire questo obiettivo: che ogni cittadino, singolo o anche associato in piccoli gruppi, possa trovare in Cittadinanzattiva un punto di riferimento valido per il suo desiderio di partecipazione e di tutela dei diritti.
Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva