Ci sono molti motivi per i quali un Movimento come il nostro può gioire, e gioisce infatti, dell’enorme successo della manifestazione di domenica scorsa, a difesa della dignità delle donne.
In tutta Italia, e persino fuori dai confini del nostro Paese, una nuvola compatta, combattiva, e positiva, di donne in sciarpa bianca, si è riversata nelle piazze, accompagnate moltissime dai loro uomini, così come da figlie e figli.
Numerosi aderenti a Cittadinanzattiva hanno contribuito ad animare l’evento, al livello territoriale, o vi hanno preso parte come singoli: da loro ci sono venute testimonianze entusiastiche e convinte.
“Se non ora, quando?” è un’ottima notizia, innanzitutto, per la forza dei numeri, per la quantità delle persone coinvolte, per l’eterogeneità delle donne protagoniste; sicuramente non quelle “poche radical chic” di cui qualcuno aveva parlato, ma tante, intellettuali, artiste, studentesse, impiegate, disoccupate, suore, vecchie, giovani, brutte, belle.
“Se non ora, quando?” è un’ottima notizia perché, proprio in virtù della forza dei numeri, della forza del suo successo, ha fatto giustizia, in un solo pomeriggio di quasi primavera, di anni di luoghi comuni e di stereotipi coltivati ad arte sui cittadini italiani, proponendo in alternativa esseri umani, reali anche perché diversi fra loro.
Il primo stereotipo, il più scontato, riguarda le cittadine di questo Paese: la cronaca degli ultimi mesi è infarcita di donne, troppe per essere nell’harem di un attempato Presidente del consiglio, poche rispetto a tutte quelle del nostro Paese, che hanno fatto una scelta, si spera il più consapevole possibile. Hanno imboccato una scorciatoia, indotte dall’equazione giovinezza-bellezza-successo-potere. Non c’è condanna, non c’è stupore: spesso giovanissime, hanno assunto come proprio obiettivo di vita una delle vite possibili, la più sponsorizzata. Non l’unica vita, non l’unica scelta. La manifestazione dell’altro giorno ha avuto il merito di rifocalizzare l’attenzione su tutte le donne, più o meno intelligenti, più o meno belle, più o meno colte, più o meno brave nel lavoro, meno o, a sorpresa, più felici. Sicuramente molto resistenti, perché sono ancora quelle su cui, in maniera preponderante, pesa il fardello del welfare impoverito, delle famiglie indebolite, del lavoro che manca. Sicuramente interessate, come recita il sottotitolo della manifestazione, a esserci, a contare, a smettere di essere percepite oggetto di ostentazione e di baratto.
Il secondo stereotipo che la manifestazione ha rovesciato riguarda i cittadini uomini di questo Paese, “la condizione maschile”. Tanti erano lì presenti in piazza, con una presenza rispettosa, volutamente in sordina. La cronaca degli ultimi mesi, invece, ci ha mostrato maschi incapaci di continenza, potenti ma non responsabili, ricchi ma mai paghi, anziani bisognosi di attingere alla giovinezza altrui. Uomini ai vertici, ma deboli perché annebbiati e resi ricattabili dai loro eccessi. Ma, soprattutto, il clamore mediatico, le interviste strappate per strada, le intercettazioni di padri se non altro confusi hanno rappresentato questo come l’unico modo di essere maschio, legittimando tale rappresentazione attraverso il refrain “farebbero tutti così se fossero al posto di…”. La manifestazione dell’altro giorno dimostra, a chi ne dubitasse, che questo non è vero, che altri maschi esistono, uomini anzi, che amano le donne che si sono scelti e che li hanno scelti, che non si augurano che le loro figlie, per essere felici, debbano essere disposte a mercificare la loro bellezza, che hanno rispetto in primo luogo di se stessi e vivono il loro tempo. La manifestazione dell’altro giorno dimostra che di questi uomini, tanto banali e tanto sani, il Paese è pieno.
Il terzo stereotipo, il più pericoloso per tutti noi, riguarda la condizione dei cittadini e basta, di questo paese: un milione di essi ha scelto, la scorsa domenica, la via della partecipazione in opposizione a quella della delega, ha scelto di non essere l’abusato “popolo sovrano” della propaganda politica, ma nuova, consapevole “cittadinanza attiva”. La cittadinanza attiva, quella di cui ci pregiamo di portare il nome, quella che piace a noi, usa, poiché la Costituzione glieli attribuisce, poteri e responsabilità, la legittimità di parlare e di agire a difesa dei beni comuni. Il popolo, il cui nome è tante volte invocato dai nostri governanti attuali, quello che piace a loro, firma al potente di turno una cambiale in bianco, e, una volta firmatala, se la dimentica, anche perché incapace di chiederne conto: qualcun altro decida, per il suo bene, come adoperarla.
Per chi sceglie la prima opzione, “Se non ora, quando?” è, ancora una volta, un’ottima notizia, perché segna nel clima libertino e cupo dell’attuale situazione politica l’ingresso, liberatorio e vitale, della cittadinanza attiva, in cui si trasformano i cittadini singoli quando dimostrano capacità di autoconvocarsi e chiamarsi a raccolta, di mobilitarsi, di esprimere, insieme e in maniera indipendente, il proprio pensiero sulla realtà.
I cittadini attivi che ieri sono scesi in piazza scelgono la prima strada, perché, evidentemente, non credono alle deleghe in bianco, con il loro voto attribuiscono fiducia prima che potere; e la fiducia è dinamica, implica che chi l’ha avuta la meriti e la rendiconti, chi l’ha data la verifichi e la rinnovi. Sono cittadini che non amano stare fermi e zitti fra un voto e un altro, che continuano, nell’intervallo, a sostenere, anche in prima persona, il proprio punto di vista, e che, se non lo vedono tutelato, si organizzano per contare, per essere con altri, per essere in tanti.
Sono cittadini a cui non si può togliere la voce e che, infatti, domenica scorsa si sono presi, insieme alle loro piazze, il loro spazio pubblico.
Anna Lisa Mandorino, Vicesegretario generale di Cittadinanzattiva