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Nel 2022 84 detenuti si sono tolti la vita all'interno delle mura penitenziarie, un record negativo mai registrato prima. Le cause di un fenomeno così complesso possono trovare la loro radice profonda in diversi fattori, come l'isolamento, la fatica a sentire gli affetti vicini, le condizioni disumane e non dignitose, gli spazi, la mancanza di assistenza e di cure. Ma anche il fatto che in carcere lavorino solo il 30% dei detenuti può essere un fattore determinante una condizione di estremo disagio e solitudine. Infatti, solo il 4% - ovvero 2400 persone recluse - è attivo nel mercato del lavoro per imparare una professione, impegnato sia dentro gli istituti di pena che all'esterno nelle cooperative sociali o nelle aziende del territorio.

Perché il lavoro può dare dignità al tempo della pena, permette di far scoprire capacità e mettersi al servizio della società. E abbatte la recidiva, che è al 70% tra chi non lavora e scende al 2% per chi esce dal carcere dopo aver imparato un mestiere durante la detenzione. L’obiettivo di incentivare la funzione rieducativa della pena carceraria, avvicinando il mercato del lavoro al mondo degli istituti di pena, è dunque un tassello fondamentale all’interno della riforma del sistema, ma la rieducazione non può essere un meccanismo isolato, ma deve necessariamente passare dal lavoro e dalla collaborazione di diversi soggetti, quali il Dap, il Cnel, il Terzo settore e le aziende. Approfondisci

Valentina Ceccarelli

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