Secondo i dati resi noti dal Ministero dell’Interno la scorsa settimana, in occasione della presentazione del rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia1 , ad ottobre 2015 sono oltre 99.000 i migranti ospitati nelle strutture di accoglienza disseminate sul territorio italiano. Di essi, quasi 71.000 sono distribuiti all’interno di strutture temporanee, i cosiddetti CAS (centri di accoglienza straordinaria), circa 21.800 sono inseriti nella rete comunale degli SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) poco più di 7.000 sono collocati nei centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo (CARA).
Il rapporto ministeriale conferma il quadro di un sistema di accoglienza dei migranti eterogeneo e scoordinato, composto di strutture dalla natura diversa ed affidate alla gestione di soggetti differenti, cui, complessivamente nel 2015 sono stati destinati oltre 1.160 milioni di euro. Il risultato di un affastellamento di interventi finalizzati prevalentemente, se non unicamente, alla ricerca di rapide soluzioni di smistamento dei richiedenti asilo sul territorio, di spazi dove parcheggiarli nella lunga attesa delle pronunce sulle domande di protezione internazionale.
Vista la enorme sproporzione tra il numero di migranti collocati nei circuiti dell’accoglienza “ordinaria” (Sprar e centri governativi) e di quelli sistemati nelle strutture temporanee, ossia il 72% del totale dei profughi presenti sul territorio, è chiaro che la parte preponderante dell’accoglienza in Italia si regge sulle cosiddette strutture temporanee, che evidentemente temporanee non sono. Pertanto, a dispetto delle definizioni, la realtà dei CAS rappresenta tuttora l’ordinaria modalità di gestione dell’accoglienza in Italia. Una realtà “informale”, nata e sviluppatasi nel corso degli anni, dove nel rimpallo Ministero dell’Interno-Prefetture, si è scelto di continuare nella corsa alla ricerca di posti da riempire, bypassando gli enti locali, e senza alcuna programmazione, alcuna regia centrale, tantomeno ragionamenti su programmi di inclusione nei territori interessati.
Una realtà fatta di strutture variegate, affidate spesso alla speculazione privata, sulla base di convenzioni temporanee puntualmente prorogate ed in cui le cosiddette “buone pratiche” restano delle gocce nel mare. Mentre numerose sono le segnalazioni di strutture del tutto inidonee all’accoglienza, addirittura fatiscenti, inadeguate sotto il profilo igienico-sanitario, dove il rispetto degli standard e dei servizi da erogare, pure previsti nelle convenzioni, resta sulla carta.
Una realtà, infine, che per come è nata e si è finora sviluppata e nelle cui pieghe si annida sempre il pericolo delle infiltrazioni criminali, sfugge, per stessa ammissione del Ministero dell’Interno, a reali possibilità di controllo, vista la sua capillarità e proliferazione sul territorio.
In questo contesto è nata la campagna inCAstrati, promossa da Cittadinanzattiva, LasciateCIentrare e Libera, finalizzata a favorire anzitutto un’operazione di trasparenza sul sistema di accoglienza dei migranti in Italia, quale condizione di partenza per la promozione di un controllo civico sulla gestione di strutture e servizi.
Ciò nella convinzione che l’accoglienza dei profughi sia un compito irrinunciabile di questo Paese, ma che si possa e si debba promuovere un sistema stabile ed ordinario di accoglienza, con una gestione trasparente di risorse economiche ed umane, che garantisca condizioni di vita dignitose, servizi di qualità e che sia soprattutto finalizzato a rimettere al centro la protezione dei diritti di chi vi è ospitato.
Su queste premesse, alcuni mesi fa è stata avviata la campagna inCAStrati presentando un’istanza di accesso civico, ai sensi della legge sulla trasparenza, al ministero dell’Interno ed alle 105 Prefetture italiane, chiedendo la pubblicazione dell’elenco dei CAS presenti sul territorio nazionale, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare, convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui servizi erogati.
Le risposte pervenute dal Ministero dell’Interno e da buona parte delle Prefetture interpellate (ad eccezione di alcune che hanno scelto di discostarsi dalle istruzioni ministeriali fornendoci parte dei dati richiesti) sono deludenti e, sotto certi profili, sconcertanti. Non solo si ritiene che i cittadini non abbiano diritto di accesso alle informazioni richieste, se non in minima parte e per gentile concessione, ma addirittura si afferma che la pubblicazione della mappa dei CAS sarebbe inopportuna per ragioni legate alla tutela della sicurezza degli stessi ospiti!
Una risposta che fa il paio con il rapporto sull’accoglienza appena presentato dal Ministero dell’Interno, prodotto di un’operazione dichiarata di “autovalutazione”, in cui non si coinvolgono soggetti terzi, tantomeno la società civile e le sue organizzazioni e dove non compare alcuna informazione effettiva sulla situazione dei CAS e sulla realtà della loro gestione.