La riforma elettorale non è solo una questione di partiti e di Palazzo,
dato che riguarda innanzitutto i diritti politici dei cittadini. Eppure
viene trattata prevalentemente in questa chiave, vale a dire come un
argomento del “gioco” della politica. Deputati e senatori entrano ed
escono dal Comitato referendario, per interessi che poco hanno a che
vedere con la questione in sé.
Si organizzano dibattiti – giusto ieri uno tra Fini e Veltroni - dove l’argomento è solo un espediente per parlare d’altro, in questo caso della nuova leadership nel centrodestra e nel centrosinistra. E i cittadini? Quest’ultimi non c’entrano nulla, sono solo sullo sfondo, assistono senza prendere la parola.
Per fortuna c’è il referendum sulla riforma elettorale e il 24 aprile in tutta Italia inizierà la raccolta delle firme. I quesiti non colgono tutti i problemi e quindi non ridanno in pieno il diritto di voto? È vero, ma intanto è l’unico modo per tirare dentro questa battaglia i diretti interessati, cioè i cittadini. Si dice anche che non è solo questa la questione che avvelena la politica italiana. Benissimo, è vero. Il referendum infatti non è altro che un inizio di riforma della politica. Poi ci vogliono le primarie per la scelta dei candidati, la trasparenza nel finanziamento dei partiti, il riconoscimento della partecipazione democratica anche al di là dei partiti, la moralizzazione della vita pubblica, la ripresa di un processo costituente. L’importante è non dare tregua a chi pensa che appunto la politica sia solo un “gioco” e offrire quantomeno una sponda a chi, dentro alle istituzioni, vuole fare sul serio.