È possibile esprimere un punto di vista civico sullo scandalo della pedofilia nella chiesa? È possibile cioè valutare i fatti e formulare dei giudizi a partire da una prospettiva diversa da quelle che oggi sembrano legittimate a farlo, quelle del credente o del non credente, del cattolico e del laico, del teologo o del pastore, e via elencando?
Direi di sì, almeno per quattro motivi.
Primo: i diritti. Le vittime degli abusi sono cittadini come tutti gli altri. La violazione dei loro diritti non è meno significativa che in altri casi. Dal punto di vista dei cittadini si deve tener conto di queste violazioni e denunciarle. Inoltre, la violazione è avvenuta all'interno di strutture con caratteristiche precise e ricorrenti suscettibili di una valutazione che le accomuna. Ciò trasforma questi fatti in un problema di interesse generale. Non più soltanto una vicenda giudiziaria terza, con la sua dinamica interna tra colpevole e vittima.
Secondo: la trasparenza. Per anni i reati commessi nelle strutture ecclesiali sono stati nascosti. La soluzione del problema avveniva in condizioni di segretezza o, più semplicemente, non avveniva. Ai cittadini, viceversa, va riconosciuto in tutte le situazioni in cui si stabilisce una relazione con una istituzione che esercita poteri e responsabilità un accesso totale alle informazioni che riguardano i loro diritti (tra i quali quello alla sicurezza e all'integrità fisica). I casi di abusi e violazione che si verificano in una qualsiasi struttura pubblica sono normalmente esposte allo scrutinio pubblico. Anche allo scopo di evitare che possano ripetersi. Viceversa, il silenzio che ha circondato per anni quegli abusi ha avuto due gravissime conseguenze: da una parte la diffusione di atti che, in una situazione di trasparenza, si sarebbero potuti intercettare e prevenire; dall'altro, la 'vittimizzazione secondaria' di tutti quegli abusati che hanno dovuto soffrire anche il silenzio, il rifiuto, la marginalizzazione e l'esclusione.
Terzo: la responsabilità. In questo caso, nessun argomento è possibile usare rispetto ad una presunta autorefenzialità di quelle strutture. Non si tratta di problemi interni alla chiesa, per il semplice fatto che gli abusi sono avvenuti dentro scuole, seminari, oratori, chiese. Luoghi nei quali si svolgono funzioni di carattere pubblico, in particolare di carattere educativo. E nelle quali, in ogni caso, si stabiliscono relazioni pubbliche con cittadini che usufruiscono di servizi formativi e culturali. In sostanza, le vittime, i familiari delle vittime, la comunità di riferimento di quelle strutture (in altre parole: i cittadini comuni) hanno facoltà di chiedere il conto.
Quarto: la fiducia. Le famiglie che affidano i propri figli alle parrocchie o alle scuole o agli oratori lo fanno sulla base di un rapporto fiduciario. La gravità di queste vicende non sta soltanto negli abusi gravissimi che sono stati compiuti, che già da soli minano questo rapporto di fiducia. Ma sta anche nel fatto che a questi abusi non si sia immediatamente rimediato. Questo aumenta il clima di sospetto e la percezione del rischio. I cittadini hanno tutto il diritto di valutare se queste strutture siano o meno affidabili e se i propri figli debbano frequentarle o starne alla larga. Che cosa succederebbe se fatti del genere avvenissero, per esempio, negli ospedali?
In conclusione, liberare alcune questioni da improprie sovrastrutture culturali, illuminare i fatti alla luce della loro concretezza, valutare sulla base delle esperienze la fallibilità delle strutture umane, incarnare il punto di vista delle persone in carne ed ossa nella direzione della coerenza con la realtà e del rispetto dei diritti ci pare che rappresenti un progresso in tutte le situazioni. E che aiuti ad imparare un metodo e uno stile di discernere che sono forse più corretti e universalmente accettabili.
Vittorino Ferla