Dopo una lunga attesa, è arrivato il verdetto del Gip di Agrigento: Carola Rackete, la comandante della Sea-Watch 3, torna libera dopo quattro giorni trascorsi agli arresti domiciliari. Il Gip non ha convalidato l'arresto, ritenendo che il reato di resistenza a pubblico ufficiale sia stato giustificato da una "scriminante" legata all'avere agito "all'adempimento di un dovere", quello di salvare vite umane in mare e che la scelta del porto di Lampedusa sia stata obbligatoria perché i porti della Libia e della Tunisia non possono essere considerati porti sicuri. La vicenda della Sea Watch 3 e del suo comandante apre profonde riflessioni sul tema del soccorso in mare e, oggi più che mai, serve conoscere per capire. L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare.
Non si può prescindere, dunque, da quanto stabilito dal diritto dell’Unione europea e dal diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche, la paventata chiusura dei porti, non possono quindi ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety) o consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
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