La proposta di legge che nel 2015 era stata approvata dalla Camera, ma rimasta in sospeso, torna finalmente a far discutere. Si tratta di una proposta di riforma delle legge sulla cittadinanza - legge che risale ormai al 1992 - che permetterebbe ai bambini nati in Italia da genitori stranieri di diventare cittadini italiani a patto che abbiano compiuto 12 anni di età e abbiano completato un ciclo di studi di 5 anni o seguito percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali.
La legge attuale non consente a chi nasce in Italia di essere considerato italiano: infatti, in base alle norme vigenti, la discendenza genetica rappresenta l’unica modalità di acquisizione, quindi un bambino è italiano solo se almeno uno dei due genitori lo è. Una legge anacronistica che da tempo la società civile chiede di cambiare: perché i bambini nati e cresciuti in Italia sono a tutti gli effetti cittadini italiani anche se figli di genitori stranieri ed è giusto garantire loro i diritti di cui godono i loro compagni di scuola.
Lo ius culturae potrebbe dunque costituire una svolta significativa, ma non va confuso con lo Ius soli, un’altra legge in discussione al Parlamento, che subordina invece l’acquisto della cittadinanza alla sola nascita della persona in territorio italiano, senza il requisito della frequentazione di un corso professionale o scolastico.
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